Mese: Settembre 2022

Omesso versamento IVA: crisi di liquidità esclude il reato!

L’omesso versamento IVA – qualora vengano superate determinate soglie – costituisce un reato punibile ai sensi dell’art. 10-ter del D. Lgs. n. 74/2000.

Un ruolo di primaria importanza al fine di escludere la rilevanza della condotta ha assunto l’esimente della crisi di liquidità, analizzata da ultimo nella sentenza n 35696 della Corte di Cassazione del 14 dicembre 2020.

1. Reato omesso versamento IVA: la disciplina

Il reato di mancato versamento IVA è disciplinato dall’articolo 10-ter del D. Lgs. n. 74/2000.

Sulla base della predetta disposizione normativa, la pena per chi commette il delitto di omesso versamento IVA oltre la soglia di 250.000,00 euro oscilla dai sei mesi a 2 anni di reclusione.

2. Reato omesso versamento IVA: soglia penale

L’omesso pagamento IVA è un reato di tipo omissivo e si perfeziona con l’omesso versamento dell’imposta dovuta sulla base dalla dichiarazione IVA, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo (27 dicembre di ogni anno).

Questo è un reato di tipo istantaneo e si consuma allo scadere del termine per il versamento dell’acconto IVA relativo al periodo d’imposta successivo.

Questo tipo di reato, in taluni casi, soesso si associa al delitti di tipo dichiarativo, come ad esempio:

  • il reato di  dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ex articolo 2 Decreto Legislativo 74/2000;
  • di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici ex articolo 4 Decreto Legislativo 74/2000 e Dichiarazione infedele ex articolo 4 Decreto Legislativo 74/2000.

Affinché l’omesso versamento IVA rilevi penalmente, è necessario il superamento della soglia di 250.000 euro.

Ove il contribuente non superi tale importo non si configura un illecito penale, bensì un illecito di natura tributaria le cui sanzioni amministrative sono disciplinate dall’art. 13 del D. Lgs. n. 471 del 1997, norma che disciplina la sanzione per tardivo versamento IVA.

Ai fini dell’integrazione del reato di omesso versamento IVA, l’entità della somma da versare da considerare è quella che si desume in base alla dichiarazione annuale IVA del contribuente e non quella desumibile dalle annotazioni contabili (cfr. la sentenza della Corte di Cassazione 14595 del 2018).

In sostanza, affinché l’omissione rilevi ai fini del mancato pagamento per l’ imposta sul valore aggiunto è necessario che:

  • il contribuente abbia presentato una dichiarazione IVA dalla quale risulti un debito di imposta pari o di un ammontare superiore a 250.000,00 euro;
  • l’omesso versamento dell’IVA si protragga oltre il termine di versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo.

3. Prescrizione omesso versamento IVA: la decorrenza dei termini

La prescrizione del reato nei casi di omesso versamento IVA è pari a 6 anni ovvero a 7 anni e mezzo nelle ipotesi in cui si verifichino eventi di interruzione.

Ai sensi dell’art. 158 del c.p. la decorrenza dei termini prescrizionali inizia dal giorno della consumazione del reato. Nel caso di specie, la decorrenza dei termini di prescrizione ha inizio dal momento in cui si sarebbe dovuto effettuare il versamento dell’IVA.

4. Omesso versamento IVA: l’esimente della crisi di liquidità ai fini dell’esclusione del reato

La scriminante della crisi di liquidità, nelle ipotesi di reato di omesso versamento IVA ai sensi dell’art. 10-ter del D. Lgs. n. 74 del 2000, è stata di recente oggetto di importanti sentenze della Corte di Cassazione. Tra queste vi è la sentenza 14 dicembre 2020, n. 35696.

In particolare, la Corte di Cassazione, nell’escludere l’inquadramento della crisi di liquidità nell’ambito dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p., ha affermato che con tale istituto ci si riferisce alla “lesione dei soli beni morali e materiali che costituiscono l’essenza stessa dell’essere umano, come la vita, l’integrità fisica (comprensiva del diritto alla salute), la libertà morale e sessuale, il nome, l’onore” (cfr. la sentenza della Sezione III penale della Corte di Cassazione 21 gennaio 2015, n. 7429) e non, invece, “a quei beni che, pur essendo costituzionalmente rilevanti, contribuiscono al completamento ed allo sviluppo della persona umana”, la cui perdita non è, dunque, in grado di integrare un danno grave alla persona, richiesto dall’art. 54 c.p.

In quest’ottica è stata, ad esempio, esclusa la rilevanza della presentazione della domanda da parte dell’impresa di concordato preventivo che non vieta il pagamento dei debiti tributari (cfr. la sentenza della Sezione III penale della Corte di Cassazione 12 febbraio 2019, n. 25315).

Ad avviso della Corte di Cassazione, l’esimente della crisi di liquidità non può essere invocata se vi è una semplice difficoltà (cfr. la sentenza della Sezione III penale della Corte di Cassazione 13 marzo 2020, n. 9960), ma è necessario che il mancato pagamento IVA, nonostante l’esperimento di tutte le iniziative, dipenda da circostanze:

  • non riconducibili alla volontà dell’imprenditore (cfr. la sentenza della Sezione III penale della Corte di Cassazione 17 settembre 2019, n. 38482);
  • a cui non è stato possibile rimediare (cfr. la sentenza della Sezione III penale della Corte di Cassazione 20 febbraio 2019, n. 7644);
  • indipendenti dalla volontà dell’imprenditore (cfr. la sentenza della Sezione III penale della Corte di Cassazione 13 marzo 2018, n. 11035).

Con la sentenza 14 dicembre 2020, n. 35696, la Corte di Cassazione ha aperto alla possibilità di escludere profili di responsabilità penale, ove l’omesso versamento IVA dipenda dalla crisi finanziaria del contribuente tale da non consentire il versamento del quantum dovuto.

Ad avviso della Corte di Cassazione, al fine di consentire l’applicazione dell’esimente in parola, è necessario che la crisi economica venga accertata in modo puntuale ed esaustivo mediante la produzione di documentazione atta a comprovare in modo inequivocabile tale stato.

‍Si tratta, in sostanza, di una specie di forza maggiore che esclude la rilevanza penale dell’omesso versamento.

Il presente articolo ha uno scopo puramente informativo e non sostituisce l’attività di un avvocato tributarista.

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Istanza di accertamento con adesione: come fare?

Se un contribuente ha ricevuto un avviso di accertamento può presentare un’istanza di accertamento con adesione ed attivare il relativo procedimento.

Il procedimento di accertamento con adesione è uno degli strumenti “deflattivi” del contenzioso tributario, il cui obiettivo è quello di favorire un accordo tra contribuente e fisco al fine di evitare l’insorgenza di una lite tributaria.

Per saperne di più, clicca qui e guarda il nostro video.

1. La normativa

La normativa relativa al procedimento di accertamento con adesione è contenuta nell’articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218. Tale norma attribuisce al contribuente – sottoposto ad accessi, ispezioni o verifiche fiscali – la possibilità di presentare un’istanza ai fini della formulazione da parte dell’Agenzia delle Entrate della proposta di accertamento con adesione.

La possibilità di presentare istanza di accertamento con adesione, sulla base del comma 2 dell’articolo 6, è attribuita anche al contribuente a cui sia stato notificato un avviso di accertamento.

La procedura può essere avviata direttamente dal contribuente mediante una domanda in carta libera in cui chiede all’ufficio di formulargli una proposta di accertamento che tenga conto delle osservazioni documentate formulate nella domanda. L’ufficio competente a cui inviare la domanda è quello in cui il contribuente ha il domicilio fiscale, e che ha verosimilmente emesso l’avviso di accertamento.

2. Ambito di applicazione

L’istanza di accertamento con adesione può essere utilizzata da tutti coloro i quali abbiano ricevuto un atto impositivo da parte dell’Amministrazione Finanziaria: persone fisiche, persone giuridiche, associazioni professionali, sostituti d’imposta ed enti.

Possono essere definite nell’ambito del procedimento di accertamento con adesione tutte le principali imposte dirette (IRPEF, IRES, IRAP), ed indirette (Iva, Imposta sulle successioni e sulle donazioni, Imposta di registro, Imposta ipotecaria e catastale, Imposta sostitutiva sulle operazioni di credito, Imposta erariale di trascrizione e addizionale regionale all’imposta erariale di trascrizione, Imposta provinciale sull’immatricolazione di nuovi veicoli).

Accertamento con adesione tributi locali: è importante evidenziare che non è sempre possibile instaurare un procedimento di accertamento con adesione quando si è in presenza di tributi locali. Occorre al riguardo infatti preliminarmente prendere visione del regolamento del Comune che ha notificato l’avviso di accertamento.

3. Il contraddittorio

Nell’ambito del procedimento instaurato mediante la presentazione di un’istanza di accertamento con adesione un ruolo di fondamentale importanza è rivestito dal contraddittorio, necessario se si intende pervenire ad un accordo di adesione con l’Ufficio.

Sulla base del comma 4 dell’articolo 6 del decreto n. 218 del 1997, l’ufficio, una volta ricevuta l’istanza di accertamento con adesione, deve formulare al contribuente un invito a comparire entro quindici giorni dalla data di presentazione dell’istanza stessa, anche tramite contatto telefonico.

È importante quindi inserire nella domanda di adesione tutte le informazioni anagrafiche del contribuente e i relativi recapiti telefonici al fine di snellire l’iter.

4. Accertamento con adesione: i termini

Sulla base del comma 3 dell’articolo 6 del decreto n. 218 del 1997, l’instaurazione del procedimento di accertamento con adesione deve essere effettuata entro 60 giorni dalla ricezione dell’atto impositivo.

Se l’invio dell’istanza avviene per posta ordinaria, fa fede la data di ricezione da parte dell’ufficio, mentre se l’invio avviene tramite posta raccomandata, allora fa fede la data di spedizione della domanda. È importante evidenziare che è possibile procedere alla notifica dell’istanza anche via PEC.

La presentazione dell’istanza di accertamento con adesione comporta la sospensione dei termini, per un periodo di 90 giorni, per la presentazione del ricorso tributario.

Ove quindi entro tali 60 giorni il contribuente decida di optare per la presentazione di un’istanza di accertamento con adesione, il termine per proporre ricorso in Commissione Tributaria sarebbe pari a 150 giorni complessivi (60 giorni + il termine di sospensione di 90 giorni).

La sospensione dei termini prevista per il procedimento di accertamento con adesione è cumulabile con il periodo di sospensione di feriale, previsto dal 1 al 31 agosto, ogni qualvolta il periodo di sospensione di 90 giorni ricade, come termine iniziale o come termine finale, tra il 1° e il l 31 agosto.

5. Sanzioni applicabili

Ove le parti – nell’ambito del procedimento di accertamento con adesione – raggiungano un accordo, il contribuente può usufruire di una riduzione delle sanzioni amministrative pari ad 1/3 del minimo previsto dalla legge.

È importante notare, al riguardo, che la riduzione delle sanzioni a 1/3 trova applicazione non in relazione alla sanzione applicata dall’Ufficio nell’avviso di accertamento mediante il cumulo giuridico o mediante al cumulo materiale (se inferiore al cumulo giuridico), ma con riferimento al minimo di tutte le sanzioni previste.

6. Perfezionamento dell’accertamento con adesione

Ove il contribuente – dopo aver avviato il procedimento mediante la presentazione dell’istanza di accertamento con adesione  raggiunga un accordo di eventuale definizione con l’ufficio in merito alle imposte dovute, si rende necessario procedere con la sottoscrizione dell’atto di adesione.

È bene precisare però che il perfezionamento dell’accertamento con adesione (con i relativi effetti agevolativi) si ha solo al momento del pagamento delle somme risultanti dall’accordo di adesione, o al momento del pagamento della prima rata (qualora il contribuente abbia optato per il pagamento rateale).

Il pagamento delle somme definite nell’accordo deve avvenire mediante modello F24 in un’unica soluzione entro 20 giorni dalla firma del perfezionamento dell’accordo di adesione, ovvero in forma rateale mediante rate trimestrali, di cui la prima da pagare entro 20 giorni dalla firma dell’accordo stesso.

Il numero massimo delle rate è di 16 qualora l’importo da pagare sia superiore di 50 mila euro, mentre sarà di 8 rate successive trimestrali qualora dall’accordo emergesse un importo inferiore a 50 mila euro. Sulle somme rateizzate sono dovuti gli interessi calcolati dal giorno successivo al pagamento della prima rata.

Per il pagamento del dovuto (sia in unica soluzione che in forma rateale) è possibile utilizzare in compensazione eventuali crediti compensabili.

7. Effetti penali

L’accertamento con adesione estingue il reato?

L’articolo 13 del D. Lgs. n. 74 del 2000 prevede alcune cause di non punibilità dei reati commessi dal contribuente ove questi perfezioni con l’Ufficio accertatore un accordo nell’ambito del procedimento di accertamento con adesione.

In particolare, non è punibile, in caso di perfezionamento dell’accertamento con adesioneil reato di:

  • omesso versamento di ritenute (articolo 10-bis del D. Lgs. n. 74 del 2000);
  • omesso versamento IVA (articolo 10-ter del D. Lgs. n. 74 del 2000);
  • indebita compensazione di crediti non spettanti (articolo 10-quater del D. Lgs. n. 74 del 2000).

È importante evidenziare che, fuori dai casi di non punibilità di cui all’articolo 13 del D. Lgs. n. 74 del 2000, nelle ipotesi in cui si pervenga al perfezionamento dell’accertamento con adesione prima dell’apertura del dibattimento di primo grado le pene per i delitti disciplinati dal predetto D. Lgs n. 74 del 2000 sono ridotte alla metà.

Il presente articolo ha uno scopo puramente informativo e divulgativo.

Le considerazioni in esso espresse non necessariamente si rendono applicabili al tuo caso concreto.

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Rientro dei cervelli: profili fiscali

Il regime fiscale agevolato applicabile ai lavoratori impatriati.

Nel nostro ordinamento, al fine di favorire il rientro dei cervelli, è stato introdotto l’articolo 16 del D. Lgs. n. 147 del 2015 (decreto crescita): si tratta del cosiddetto regime agevolato dei lavoratori impatriati.

Con la suddetta disposizione normativa è stato in sostanza introdotto un regime di tassazione agevolata dei redditi prodotti in Italia per i lavoratori impatriati che trasferiscono la residenza fiscale nel territorio italiano e che si impegnano a risiedervi per almeno due periodi di imposta.

Con il presente articolo descriviamo la normativa oggi vigente, tenendo conto di tutte le modifiche normative che si sono succedute dal 2016 – anno di entrata in vigore del regime agevolativo – ad oggi.

1. Rientro dei cervelli: i requisiti

L’agevolazione fiscale prevista per il rientro dei cervelli dall’articolo 16, comma 1, del D.lgs. n. 147 del 2015, trova applicazione in presenza dei sotto riportati requisiti. In particolare, il lavoratore:

  • non deve essere stato residente fiscalmente in Italia nei due periodi di imposta precedenti rispetto a quello in cui viene effettuato il trasferimento sul territorio dello Stato;
  • deve impegnarsi a risiedere in Italia per almeno 24 mesi dal trasferimento;
  • deve prestare attività lavorativa prevalentemente in Italia, per un periodo cioè superiore a 183 giorni nell’arco dell’anno solare.

Si rammenta che, sulla base dell’articolo 2 del TUIR, sono considerate fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che, per almeno 183 giorni (o 184 giorni nell’ipotesi di anno bisestile), sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio detto Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. Sulla base dell’articolo 2 del TUIR, si tratta di condizioni tra di loro alternative.

Le norme non specificano il periodo minimo di residenza all’estero necessario al fine di poter accedere al regime agevolativo. Sul punto, l’Agenzia delle Entrate – con la risoluzione n. 51/E del 2018 – ha chiarito che il periodo di residenza all’estero deve essere di almeno 2 anni. In realtà, si tratta di una interpretazione molto penalizzante -che non è contenuta nelle norme – perché esclude l’applicazione del regime agevolato a chi è stato fuori Italia per meno di 24 mesi e intende rientrare.

L’agevolazione si applica altresì a quei cittadini dell’Unione europea con cui l’Italia ha stipulato una Convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni che:

  • abbiano conseguito una laurea o una specializzazione post laurea;
  • siano in possesso di un titolo di laurea e abbiano svolto un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa nei precedenti due anni.

2. Rientro dei cervelli anche senza iscrizione all’AIRE

L’applicazione della disciplina fiscale sul rientro dei cervelli non è necessariamente collegata all’iscrizione all’AIRE.

Sulla base del comma 5-ter dell’articolo 16 del D.lgs. n. 147 del 2015 possono infatti usufruire del regime agevolativo dei lavoratori impatriati anche quei soggetti che, pur avendo avuto la loro dimora abituale per oltre 24 mesi all’estero, non sono stati iscritti all’AIRE.

Al riguardo la norma richiede all’impatriato che intende trasferire la residenza fiscale in Italia di dimostrare la propria residenza fiscale all’estero sulla base della disciplina contenuta nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni.

3. Rientro dei cervelli: i requisiti oggettivi

Quali sono i requisiti oggettivi per applicare la disciplina del rientro dei cervelli?

Rientrano nel campo di applicazione del regime agevolato dei lavoratori impatriati quei soggetti che producono:

  • redditi di lavoro dipendente o assimilati;
  • redditi di lavoro autonomo
  • redditi di impresa di impresa.

L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 33/E del 2020, ha chiarito che il regime agevolato spetta a coloro i quali abbiano attivato un’attività d’impresa in Italia a partire dal 1° gennaio 2020.

Ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, non rientrano nel campo di applicazione di tale disciplina i redditi:

  • delle società di persone ai sensi dell’articolo 5 del TUIR;
  • delle società a ristretta base azionaria.

Il regime dei lavoratori impatriati è, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, incompatibile con il regime forfettario.

L’Agenzia delle entrate, inoltre, con la circolare n. 33/E/2020, ha espressamente riconosciuto che le remunerazioni sono forma di bonus annuale sono agevolabili in quanto rientrano nella categoria dei redditi di lavoro dipendente.

4. Rientro dei cervelli: la misura, la durata e l’ambito temporale dell’agevolazione fiscale

La misura agevolativa applicabile ai lavoratori impatriati prevede la tassazione del reddito complessivo prodotto in Italia nella misura del 30 per cento.

Per coloro i quali trasferiscono la residenza in alcune regioni (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia) la tassazione del reddito complessivo è pari al 10 per cento (articolo 16,comma 5-bis, D. Lgs. 147 del 2015).

Il regime degli impatriati può essere invocato a decorrere dal periodo di imposta in cui i lavoratori trasferiscano in Italia la loro residenza fiscale e per i successivi quattro periodi di imposta.

L’agevolazione fiscale può essere applicata per altri 5 periodi di imposta, con tassazione del reddito imponibile al 50 per cento reddito, nel caso in cui il lavoratore impatriato abbia:

  • abbia almeno un figlio minorenne o a carico, anche in affido preadottivo, ovvero
  • diventi proprietario di un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, successivamente al trasferimento nel nostro Stato o nei 12 mesi precedenti al trasferimento.

La percentuale di tassazione dei redditi agevolabili prodotti nel territorio dello Stato si riduce al 10 per cento se negli ulteriori 5 periodi di imposta se il lavoratore impatriato ha almeno tre figli minorenni o a carico.

5. Rientro dei cervelli: gli sportivi professionisti

La disciplina applicabile per il rientro dei cervelli trova delle limitazioni in relazione agli sportivi professionisti.

Il reddito di tali soggetti concorre infatti alla formazione del reddito complessivo nella misura del 50 per cento, in luogo della percentuale del 30 per cento prevista per i lavoratori impatriati.

Non trova altresì applicazione della riduzione al 10 per cento del reddito imponibile in caso di trasferimento nelle regioni del Mezzogiorno e in presenza di 3 figli minorenni a carico.

È altresì previsto in caso di esercizio dell’opzione il versamento annuale di un contributo pari allo 0,5 per cento del reddito imponibile.

6. Rientro dei cervelli: le modalità di fruizione dell’agevolazione

Al fine di beneficiare del regime di favore previsto per il rientro dei cervelliil soggetto deve presentare una comunicazione scritta al proprio datore di lavoro.

Il datore di lavoro è tenuto ad applicare l’agevolazione a partire dalla busta paga successiva rispetto a quella in cui viene effettuata la comunicazione. In caso contrario, il lavoratore impatriato può fruire dell’agevolazione nella dichiarazione dei redditi.

I  lavoratori autonomi possono accedere al regime fiscale agevolato direttamente in sede di dichiarazione annuale.

7. Rientro dei cervelli e legge di bilancio 2021

Coloro i quali sono rientrati in Italia prima del 30 aprile 2019, se in possesso di tutti i requisiti previsti, possono usufruire del vecchio regime applicabile del rientro dei cervelli che prevede una detassazione dei redditi agevolabili pari al 50 per cento.

L’agevolazione fiscale inizialmente poteva essere applicata ai lavoratori impatriati a partire dal periodo di imposta in cui veniva trasferita la residenza fiscale e per i quattro successivi. In sostanza, non era possibile usufruire dell’estensione della tassazione agevolata per il quinquennio successivo.

A seguito della disciplina introdotta dall’articolo 1, comma 50, della legge n. 178 del 2020, l’estensione dell’agevolazione si rende applicabile anche a quei soggetti che hanno usufruito del vecchio regime dei lavoratori impatriati, a condizione che tali soggetti:

  • siano stati iscritti all’AIRE o siano in alternativa cittadini Unione Europea;
  • abbiano trasferito la residenza fiscale nel territorio dello Stato del 2020;
  • alla data del 31 dicembre 2019 usufruivano del vecchio regime agevolativo dei lavoratori impatriati;
  • abbiano almeno un figlio minorenne o a carico, anche in affido preadottivo;
  • siano diventati proprietari di almeno un immobile di tipo residenziale in Italia.

Al fine di poter applicare l’estensione dell’agevolazione, tali soggetti devono versare un importo pari al 5 o al 10 per cento dei redditi di lavoro dipendente o di lavoro autonomo prodotti in Italia.

Le istruzioni per l’estensione dell’agevolazione prevista per il rientro dei cervelli sono contenute nel provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 3 marzo 2021, n. 60353.

Il presente articolo ha uno scopo puramente informativo e divulgativo.

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Cancellazione società dal registro imprese e debiti tributari

Società cancellata e debiti tributari: soci responsabili mentre il liquidatore risponde in proprio

La liquidazione con conseguente cancellazione di società dal registro imprese rappresenta un momento di particolare complessità, soprattutto in presenza di debiti tributari.

Ove successivamente alla cancellazione dal registro delle imprese vengano riscontrate dall’Agenzia delle Entrate violazioni fiscali sulla base di un controllo fiscale ovvero di una verifica fiscale, delle conseguenze molto importanti potrebbero derivare per i soci, per gli amministratori e per il liquidatore.

1. Cancellazione di società dal registro delle imprese: la disciplina

La disciplina relativa alla cancellazione di società dal registro imprese è contenuta:

  • nel primo comma dell’art 2495 cc che prevede l’obbligo di cancellazione della società dal registro delle imprese, una volta approvato il bilancio finale di liquidazione;
  • nell’articolo 2495 comma 2 cc secondo cui a seguito della cancellazione della società i creditori possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, sulla base delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori;
  • nell’articolo 28, comma 4, del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, c.d. “decreto semplificazioni”), che introduce una deroga all’ordinaria disciplina dell’estinzione delle società di capitali di cui al secondo comma dell’art 2495 cc, prevedendosi che per l’Agenzia delle Entrate l’estinzione della società ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal registro delle imprese;
  • nell’articolo articolo 36, primo comma, del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, che prevede una responsabilità inerente ai debiti tributari della società cancellata per i soci, gli amministratori e i liquidatori una volta avvenuta la cancellazione dal registro delle imprese.

2. Gli effetti della cancellazione di società dal registro imprese

La cancellazione della società dal registro delle imprese è disciplinata dall’articolo 2495 cc.

Secondo il primo comma di tale norma il liquidatore che approva il bilancio finale di liquidazione deve chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese.

Successivamente alla cancellazione, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi.

Sulla base della predetta disposizione, la cancellazione della società dal registro delle imprese ha efficacia costitutiva.

Nella sentenza 19 aprile 2018, n. 9672, la Corte di Cassazione – richiamandosi al suo precedente orientamento a Sezioni Unite – ha affermato che sono “sempre i soci coloro che sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata (ma non definiti all’esito della cancellazione) a prescindere dall’aver questi goduto o meno di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione”.

I soci, in sostanza, subentrano nei rapporti giuridici riconducibili alla società estinta.

3. Estinzione della società e Agenzia delle Entrate: profili fiscali

Sotto il profilo fiscale si perviene a differenti considerazioni.

L’articolo 28, comma 4, del decreto semplificazioni introduce infatti una deroga all’ordinaria disciplina dell’estinzione delle società di capitali di cui all’art 2495 cc prevedendosi che l’estinzione della società ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal registro delle imprese.

Questo significa che ove vengano individuate dal Fisco delle irregolarità per le quali si rende necessaria l’emissione di un avviso di accertamento a carico della società estinta, questo potrebbe essere notificato ben 5 anni dopo la cancellazione dal registro delle imprese.

Con la disposizione di cui all’articolo 28, comma 4 del decreto semplificazioni, il legislatore ha quindi inteso preservare la possibilità per l’Amministrazione Finanziaria di esercitare il proprio potere impositivo nei confronti di società estinte al fine di effettuare un controllo fiscale in relazione alle annualità in cui avviene l’estinzione e le precedenti.

Se, quindi, con specifico riferimento al profilo civilistico, la cancellazione dal registro delle imprese ha un effetto estintivo immediato sul piano tributario l’estinzione della società è sospesa per un periodo di cinque anni.

Al riguardo la Commissione Tributaria Provinciale di Benevento con l’ordinanza 13 marzo 2019, n. 142 ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 28, comma 4, del decreto semplificazioni.

Ad avviso della Commissione Tributaria Provinciale di Benevento tale norma viola il principio di uguaglianza. Il differimento dell’efficacia dell’estinzione della società per i soli rapporti con l’amministrazione finanziaria costituisce un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli altri creditori sociali, per i quali l’estinzione di una società coincide invece con la sua cancellazione dal registro delle imprese.

4. Il liquidatore risponde in proprio dei debiti tributari

Secondo l’articolo 36, comma 1, del dpr. n. 602 del 1973, il liquidatore risponde in proprio del pagamento delle imposte se non prova di aver pagato i debiti tributari prima dell’assegnazione dei beni della società estinta ai soci o agli associati.

E’ importante notare che la responsabilità del liquidatore è parametrata esattamente all’importo dei crediti tributari che avrebbero trovato soddisfacimento sulla base del riparto finale previsto dal bilancio finale di liquidazione.

5. Debiti tributari: la responsabilità dei soci e degli associati

Nell’ipotesi in cui, successivamente alla cancellazione di una società dal registro delle imprese, l’Agenzia delle Entrate ravvisi l’esistenza di violazioni fiscali è prevista una responsabilità dei soci e degli associati per i debiti tributari.

In particolare, i soci o associati sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dalla società estinta, se hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro dagli amministratori o se hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione (articolo 36, primo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602).

E’ importante evidenziare che la responsabilità dei soci e degli associati dei debiti tributari accertati a carico della società estinta non è limitata a quanto da questi percepiti sulla base del bilancio finale di liquidazione , ma si estende all’ammontare complessivo del debito accertato in percentuale alla quota di partecipazione che ogni socio ha nella società cancellata.

6. Cancellazione società e notifica dell’avviso di accertamento

Dove deve essere notificato l’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate destinato alla società cancellata dal registro imprese?

Con riferimento a tale domanda utili chiarimenti al riguardo sono stati dati emanati dall’Agenzia delle Entrate nella circolare 19 febbraio 2015, n. 6/E.

Al riguardo l’Agenzia delle Entrate ha affermato che l’avviso di accertamento contenente la rettifica della dichiarazione della società cancellata dal Registro delle imprese deve emesso nei confronti della società “cancellata”.

In questo caso, l’accertamento fiscale deve essere notificato alla società estinta presso la sede dell’ultimo domicilio fiscale in quanto, a tal fine, l’effetto dell’estinzione come abbiamo detto si produrrà sotto il profilo tributario solo dopo cinque anni dalla data della cancellazione.

Secondo l’Agenzia delle Entrate, a tal fine la società cancellata può eleggere domicilio presso il comune in cui aveva il domicilio fiscale prima dell’estinzione.

7. Cancellazione registro imprese delle società di persone: gli effetti

Tutte le considerazioni esposte nei precedenti paragrafi possono essere applicabili anche alla cancellazione di società di persone.

Anche in tal caso, infatti, la responsabilità dei soci è la medesima che è riscontrabile nelle ipotesi di cancellazione ed estinzione di società di capitali.

Il presente articolo ha uno scopo puramente informativo e divulgativo.

Le considerazioni in esso espresse non necessariamente si rendono applicabili al tuo caso concreto.

Se hai necessità di maggiori informazioni compila il form di contatto.

La sottoscrizione della cartella di pagamento

La mancata sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del responsabile del procedimento è un argomento molto dibattuto.

Con questo articolo analizziamo la normativa oggi vigente, anche alla luce della recente giurisprudenza della Corte di Cassazione e delle Commissioni tributarie.

1. La sottoscrizione della cartella di pagamento: la disciplina

I requisiti che deve obbligatoriamente contenere la cartella di pagamento è contenuto nell’articolo 6 del Decreto ministeriale 3 settembre 1999, n. 321, secondo cui “il contenuto minimo della cartella di pagamento è costituito dagli elementi che, ai sensi dell’art. 1, commi 1 e 2, devono essere elencati nel ruolo, ad eccezione della data di consegna del ruolo stesso al concessionario e del codice degli articoli di ruolo e dell’ambito”.

Il ruolo, sulla base dell’articolo 1, comma 1, del decreto interministeriale n. 321, deve contenere l’indicazione dei seguenti dati:

  • il creditore;
  • la tipologia di ruolo (ordinario o straordinario);
  • i dati del debitore;
  • il codice di ogni componente del credito, di seguito denominata articolo di ruolo;
  • il codice dell’ambito;
  • l’anno o il periodo di riferimento del credito;
  • le somme dovute per ogni ruolo;
  • l’ammontare complessivo delle somme indicate nel ruolo;
  • le modalità di riscossione del ruolo;
  • l’indicazione della data in cui viene dato all’ Agente della riscossione.

Sulla base del comma 2 dell’articolo 1 del decreto ministeriale 321 del 1999 è poi necessario menzionare per ciascun contribuente, anche l’indicazione sintetica degli elementi sulla base dei quali è stata effettuata l’ iscrizione a ruolo.

Nel caso in cui l’iscrizione a ruolo derivi da un atto precedentemente notificato (accertamento Agenzia delle Entrate o sentenze Commissione tributaria), devono essere indicati gli estremi di tale atto e la relativa data di notifica.

La normativa ad oggi vigente non prevede a pena di nullità il requisito della sottoscrizione della cartella esattoriale, che deve essere predisposta secondo il modello approvato e sulla base del decreto del ministero competente.

Per completezza occorre ricordare che ciò non vale per l’avviso di accertamento. Sulla base dell’articolo 42 del dpr n 600 del 1973 in tema di imposte sui redditi, la mancata sottoscrizione del funzionario responsabile comporta la nullità dell’avviso di accertamento.

La corretta notificazione della stessa cartella di pagamento non appare quindi poter essere messa in dubbio a seguito della mancata di sottoscrizione che non è un elemento necessario per legge a pena di nullità.

2. La sottoscrizione della Cartella di pagamento: la giurisprudenza di merito e della Corte di Cassazione

Le conclusioni cui si perviene sulla base della normativa sono confermate dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Nella sentenza 14 aprile 2020, n. 7800, la Corte di Cassazione ha chiarito che la mancata sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del responsabile del procedimento non comporta l’illegittimità della cartella stessa. Seguendo tale interpretazione, la Corte di Cassazione ha evidenziato come l’esistenza della cartella di pagamento non dipenda dall’apposizione di una firma leggibile, quanto dalla circostanza che la stessa sia in concreto – e non in astratto – riferibile all’ente impositivo che ha il potere di emetterla. La Corte di Cassazione ritiene che ciò sia avvalorato dal fatto che la cartella di pagamento e il ruolo devono essere predisposti sulla base delle informative e del modello approvato con decreto dal Ministero delle Finanze, che non prevedono la sottoscrizione come requisito essenziale a pena di nullità.

Alle medesime conclusioni è pervenuta la Corte di Cassazione nella sentenza 23 aprile 2020, n. 8081.

Il suddetto orientamento è stato poi recepito dalla recente giurisprudenza di merito. La sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli del 24 settembre 2020, n. 606 – facendo riferimento alla giurisprudenza della Corte di Cassazione di cui abbiamo detto – ha escluso che “l’eventuale mancanza della firma digitale possa infirmare la legittimità della cartella di pagamento impugnata“.

Alla luce di quanto sopra osservato, la giurisprudenza è ferma nel ritenere come la mancata sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del responsabile del procedimento competente non comporti l’invalidità dell’atto.

La Corte Costituzionale nella sentenza n. 117 del 2000, ha affermato che costituisce “diritto vivente” il principio in base al quale “l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi previsti dalla legge, ed è regola sufficiente che dai dati contenuti nel documento sia possibile individuare con certezza l’Autorità da cui l’atto proviene”.

La mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento non incide in alcun modo sulla validità dell’atto stesso, fatta eccezione per i casi in cui la sanzione della nullità è espressamente contemplata per il caso di omessa sottoscrizione del capo dell’Ufficio.

Il presente articolo ha uno scopo puramente informativo e divulgativo.

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Ricorso tributario: come fare?

Quando l’Agenzia delle Entrate o l’Agenzia delle Entrate-Riscossione notificano al contribuente un atto di accertamento, vi è la possibilità – qualora si ravvisi l’infondatezza nel merito della pretesa ovvero si ravvisi l’esistenza di vizi di legittimità dello stesso – di presentare un ricorso tributario, instaurando un processo telematico tributario.

È importante preliminarmente evidenziare che, i gradi di giudizio tributario nel nostro ordinamento sono tre:

  1. il giudizio di primo grado dinanzi la Commissione Tributaria Provinciale;
  2. il giudizio di secondo grado dinanzi la Commissione Tributaria Regionale;
  3. il giudizio di legittimità dinanzi la Corte di Cassazione.

1. Ricorso tributario e istituti deflattivi del contenzioso

Ora, prima di entrare nel merito del nostro argomento, occorre preliminarmente evidenziare che presentare questo ricorso ed instaurare un processo telematico tributario non sempre è la soluzione migliore.

Ove la pretesa dell’Agenzia delle Entrate o dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione si rilevi fondata, le possibilità di accoglimento del ricorso tributario in Commissione Tributaria sarebbero risibili. Per tale ragione appare opportuno valutare una definizione bonaria del contenzioso tramite gli istituti deflattivi del contenzioso tributario. Non essendo questa la sede per affrontare tale argomento, ci limitiamo semplicemente ad enuclearli. Si tratta:

  • dell’istanza di accertamento con adesione;
  • dell’acquiescenza;
  • della definizione agevolata delle sanzioni;
  • dell’accordo di mediazione.

2. I requisiti

Nel ricorso è necessario indicare:

  • la Commissione Tributaria adita;
  • le parti del processo tributario (i dati del ricorrente – come il codice fiscale e la residenza – e dell’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate, con relative PEC);
  • l’atto impugnato ai sensi dell’art 19 dlgs 546/92;
  • i motivi di ricorso.

È da notare che tale ricorso deve essere sottoscritto dal difensore (un avvocato tributarista o un dottore commercialista) e deve indicare la categoria a cui appartiene. Nel ricorso occorre anche inserire la procura (procura ricorso tributario).

3. Atti impugnabili nel processo tributario

In linea generale il ricorso tributario può essere presentato in relazione a tutti gli atti impositivi emessi dall’Agenzia delle Entrate e in relazione alla maggior parte degli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione.

Gli atti impugnabili nel processo tributario sono delineati nell’ art 19 dlgs 546/92, cui si rimanda per semplicità.

A titolo esemplificativo, può essere presentato un ricorso avverso l’avviso di accertamento, il ruolo e la cartella di pagamento, l’avviso di liquidazione e il rifiuto espresso o tacito della restituzione dei tributi.

4. Ricorso tributario senza difensore?

Per le controversie con valore fino a euro 3.000, il contribuente può presentare un ricorso tributario senza difensore.

È importante notare che per controversie con valore fino a euro 3.000 si intendono quelle cause in cui nell’atto impositivo l’imposta o le imposte richieste non siano superiori a 3.000 euro.

5. Il ricorso telematico: la formazione dell’atto

A seguito delle modifiche apportate all’articolo 16-bis, comma 3, del dlgs 546/92 dall’articolo 16, comma 1, lettera a), numero 4) del DL n. 119/2018, oggi il ricorso tributario deve essere formato con modalità digitale.

Tali norme hanno in sostanza introdotto il ricorso tributario telematico, che deve:

·        essere costituito in formato PDF/A-1a o PDF/A-1;

·        essere sottoscritto con firma elettronica in formato p7m.

Se questo non viene predisposto sulla base di tali specifiche tecniche è inammissibile.

6. Calcolo termini del ricorso

La corretta instaurazione di un processo tributario implica il rispetto di determinati termini sia per la notifica sia per il deposito del ricorso in Commissione Tributaria.

7. Notifica del ricorso

La notifica del ricorso tributario deve essere effettuata entro il termine di 60 giorni, a decorrere dalla data di notifica dell’atto impositivo.

Se è stata presentata istanza di accertamento con adesione (solo nei casi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate), la notifica del ricorso tributario deve essere effettuato entro il termine di 150 giorni dalla notifica dell’atto impositivo.

La notifica del ricorso tributario all’Agenzia delle Entrate ovvero all’Agenzia delle Entrate-Riscossione da parte del contribuente deve esclusivamente avvenire a mezzo PEC: tale modalità di notifica è diventata obbligatoria dal 1° luglio 2019 – a seguito delle modifiche apportate con il decreto-legge n. 119/2018,convertito nella legge 17 dicembre 2018, n° 136 – all’articolo 16-bis del decreto legislativo n. 546/92.

Ai fini delle notifiche da effettuare nell’ambito del processo telematico tributario, la PEC è reperibile nei seguenti pubblici elenchi:

  • INI-PEC (indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato, di cui all’articolo 6-ter del CAD);
  • IPA (indice nazionale dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori dei pubblici servizi di cui all’art. 6-ter del CAD).

8. Termine iscrizione al ruolo del ricorso

Il termine per la costituzione in giudizio del ricorso tributario in Commissione Tributaria Provinciale è a pena di improcedibilità di 30 giorni dalla data dalla notifica del ricorso alla controparte. Per le controversie aventi un valore inferiore ai 50.000,00 – per le quali deve essere esperita la mediazione obbligatoria – il termine di 30 giorni per la costituzione in giudizio decorre dopo novanta giorni dalla notifica del ricorso reclamo tributario.

Per depositare un ricorso è obbligatorio avvalersi del Processo Tributario Telematico, registrandosi al SIGIT.

9. La sospensione dei termini nel ricorso

Salvo provvedimenti legislativi ad hoc in determinati periodi storici, la sospensione dei termini nel ricorso tributario opera in due casi.

Nel caso in cui si predisponga un’istanza di accertamento con adesione. In tal caso, i termini sono sospesi per 90 giorni e il termine complessivo per presentare un ricorso tributario è di 150 giorni a decorrere dalla data di notifica.

Nel caso di sospensione feriale, ai sensi della legge 7 ottobre 1969, n. 742: i termini sono sospesi per 30 giorni (dal 1° al 31 agosto di ciascun anno) e il termine per presentare un ricorso tributario è di 91 giorni.

È importante notare che la sospensione dei termini nel ricorso tributario in caso di accertamento con adesione è cumulabile con la sospensione feriale dei termini.

10. Ricorso tributario cartaceo inammissibile

Occorre evidenziare che, sulla base delle nuove norme, oggi non è più possibile notificare il ricorso tributario mediante consegna diretta, ufficiale giudiziario ovvero mediante plico raccomandato.

Ove si proceda con tali modalità, in luogo dell’unica modalità consentita (PEC), il ricorso tributario è inammissibile.

Quando però la notifica via PEC non si perfeziona per cause imputabili alla PEC del destinatario è possibile procedere con le modalità analogiche di notifica del ricorso in originale (consegna a mano, ufficiale giudiziario o plico raccomandato).

In tal caso è necessario

  • predisporre una dichiarazione del notificante con cui si attesta che la modalità di notifica analogica si è resa necessaria per cause imputabili alla PEC del destinatario;
  • stampare la ricevuta di accettazione e mancata consegna PEC e allegarli all’attestazione.

In tali ipotesi, la notifica deve avvenire entro un tempo pari alla metà dei termini di cui all’articolo 325 cpc (cfr. Cassazione a Sezioni Unite n. 14594 del 2019).

Sussiste in ogni caso obbligo deposito telematico.

11. Ricorso in Commissione tributaria: costi

Quanto costa questo ricorso?

Il costo di questo ricorso dipende da due fattori: dall’onorario dell’avvocato tributarista e dal contributo unificato (CUT).

Qui di seguito forniamo uno schema riepilogativo complessivo di quanto costa.

Ricorso tributario costi
Ricorso tributario: i costi

Il presente articolo ha uno scopo puramente informativo e divulgativo.

Le considerazioni in esso espresse non necessariamente si rendono applicabili al tuo caso concreto.

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Processo verbale di constatazione: come orientarsi!

Il processo verbale di constatazione (PVC) dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza è un atto amministrativo con cui si documenta formalmente l’attività di controllo e di verifica fiscale, eseguita presso la sede del contribuente (sede legale nel caso di società o residenza nel caso di persona fisica).

Si tratta di un’attività necessaria ai fini dell’emissione degli accertamenti fiscali.

All’interno del processo verbale di constatazione vengono riportate le irregolarità, le violazioni di legge e gli adempimenti contestati al contribuente nell’ambito della sua attività di impresa o di lavoro autonomo.

Per saperne di più clicca qui per guardare il nostro video.

1. La normativa applicabile al processo verbale di constatazione

La normativa che disciplina le modalità di emissione del processo verbale di constatazione è contenuta:

  • nell’art. 24 della legge n. 4 del 1929;
  • nell’art.  52 del d.p.r. n. 633 del 1972;
  • nell’art. 12, comma 7, della legge 212 del 2000.

2. Il processo verbale di notifica giornaliero

Nell’ambito delle verifiche intraprese a carico di un determinato contribuente, un ruolo di assoluta importanza ha il processo verbale di notifica giornaliero.

Si tratta, in sostanza, di un processo verbale delle operazioni compiute in un dato giorno, che ha l’obiettivo di sintetizzare le attività di controllo svolte, con tutte le operazioni e i dati reperiti nel corso della verifica.

Il processo verbale di notifica giornaliero viene spesso poco considerato sia dai soggetti sottoposti a verifica fiscale sia dai consulenti, che spesso lo ritengono poco rilevante.

A nostro avviso, invece, tale processo verbale è molto importante perché laddove dovessero ravvisarsi degli errori di notevole importanza nell’ambito della verifica fiscale vi sarebbe la possibilità di contestare l’operato del Fisco, presentando delle dichiarazioni (anche per il tramite di un avvocato tributarista).

3. La notifica del processo verbale di constatazione: cosa fare?

Quando il processo verbale di constatazione viene notificato al contribuente bisogna innanzi tutto capire se le contestazioni operate sono fondate. La parte fondamentale è la sezione conclusiva, che riassume i rilievi contenuti nel PVC, dando evidenzia:

  • delle violazioni riscontrate;
  • delle eventuali dichiarazioni rilasciate dal contribuente;
  • delle maggiori imposte dovute, con le relative sanzioni amministrative;
  • degli allegati.

Se le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza sono concrete e motivate, la soluzione più corretta è procedere al pagamento delle imposte richieste mediante l’istituto del ravvedimento operoso. In tal caso, l’articolo 13, comma 1, lettera b-quater, del decreto n. 472 del 1997, prevede la riduzione delle sanzioni a 1/5 rispetto a quelle applicabili.

Qualora, invece, le contestazioni operate dall’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di Finanza fossero errate è opportuno presentare delle memorie difensive al PVC: le cosiddette osservazioni al PVC.

4. Osservazioni al PVC

Le osservazioni al PVC sono uno strumento che il contribuente ha la facoltà di utilizzare ove voglia contestare, dopo il PVC, le conclusioni cui è pervenuta l’Agenzia delle Entrate o la Guardia di Finanza.

È importante notare che le osservazioni al PVC (art 12 Statuto del contribuente), devono essere notificate entro 60 giorni dalla notifica del processo verbale di constatazione.

Le osservazioni al PVC rivestono un’importanza assoluta in quanto non sempre le contestazioni operate dall’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di Finanza a seguito della verifica fiscale sono fondate.

Ove, quindi, vengano ravvisati errori da parte dell’Amministrazione Finanziaria è sempre bene predisporre tali osservazioni, con l’obiettivo di evitare che la contestazione operata nel PVC possa essere inclusa nell’avviso di accertamento.

5. Processo verbale di constatazione impugnazione

Occorre evidenziare che il processo verbale di constatazione non è un atto impugnabile.

Esso, infatti, non figura tra gli atti indicati nell’articolo 19 del decreto legislativo n. 546 del 1992.

Avverso il processo verbale non è quindi possibile predisporre un ricorso tributario, ma è soltanto possibile presentare le osservazioni al PVC di cui abbiamo parlato.

6. PVC guardia di finanza nullo: è possibile?

È corretto parlare di nullità del processo verbale di constatazione?

In realtà, sulla base degli strumenti messi a disposizione dell’ordinamento tributario, non è tecnicamente corretto parlare di nullità.

L’obiettivo cui può mirare il contribuente – cui sia stato notificato un processo verbale di constatazione – è dimostrare, attraverso la presentazione di osservazioni al PVC, che le conclusioni dello stesso sono infondate e convincere l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate competente a non emettere l’avviso di accertamento.

In quest’ottica l’attività difensiva – operata dal contribuente – deve obbligatoriamente essere valutata dall’Ufficio, pena la nullità dell’accertamento dell’Agenzia delle Entrate per vizio di motivazione.

Il presente articolo ha uno scopo puramente informativo e divulgativo.

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Se hai necessità di maggiori informazioni puoi inviarci una mail all’indirizzo 4tax.it@4tax.it o compilare il form di contatto qui sotto.

La mediazione tributaria: come funziona e quali vantaggi!

La mediazione tributaria è uno strumento deflattivo del contenzioso tributario.

Tale strumento è stato introdotto – ad opera dell’articolo 39, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla legge n. 15 luglio 2011, n. 111 – nel decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, mediante un’apposita norma contenuta nell’articolo 17-bis.

L’obiettivo della mediazione tributaria è quello di prevenire le liti tributarie che possono essere risolte in via amministrativa, consentendo al contribuente e all’Agenzia delle Entrate di pervenire ad un accordo di mediazione in merito all’imposta e alle sanzioni dovute.

1. Quando è obbligatoria?

La mediazione tributaria è obbligatoria per le controversie aventi un valore non superiore a 50.000,00 euro.

Per stabilire se ci si trova nell’ambito di operatività della mediazione tributaria obbligatoria, ai fini della determinazione della soglia di 50.000,00 euro occorre considerare:

  • soltanto l’imposta richiesta (o le imposte richieste) con l’atto impositivo, al netto delle sanzioni e degli interessi;
  • il valore della controversia per ogni singolo accertamento fiscale.

Ove si proceda con l’impugnazione di atti di irrogazione delle sanzioni, il valore della controversia è costituito dalla somma di queste.

La mediazione tributaria è applicabile anche alle controversie relative ai tributi locali (TARSU, Tari).

Alla mediazione tributaria non si applica la conciliazione tributaria.

2. Mediazione tributaria: ambito di operatività

La mediazione tributaria trova applicazione per i seguenti atti emessi (dall’Agenzia delle Entrate o dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione), se aventi chiaramente valore inferiore a 50.000:

  • avviso di accertamento;
  • avviso di liquidazione;
  • provvedimento che irroga le sanzioni;
  • il ruolo;
  • il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie e d’interessi o altri accessori non dovuti;
  • il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari;
  • cartelle di pagamento (esclusivamente) per vizi propri;
  • il fermo di beni mobili registrati;
  • l’iscrizione di ipoteca su beni immobili;
  • tutti gli atti impugnabili davanti alla Commissione tributaria.

Mediazione tributaria enti locali: occorre evidenziare che ove il contribuente abbia ricevuto un avviso di accertamento in materia di tributi locali è obbligatorio esperire la mediazione tributaria se l’atto è inferiore a 50.000 euro.

3. Mediazione tributaria improcedibile

La mediazione tributaria è improcedibile quando:

  • l’atto ha un valore superiore a 50.000,00 euro;
  • non è possibile determinare il valore dell’atto (fatta eccezione per le operazioni di natura catastale, concernenti il classamento degli immobili e l’attribuzione della rendita catastale);
  • l’atto ha per oggetto le sanzioni accessorie, ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472;
  • si è in presenza di istanze di cui all’articolo 22 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472;
  • l’atto afferisce all’attività dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione;
  • l’atto fiscale non è soggetto ad impugnazione (come, ad esempio, nel caso di risposta a istanza di interpello);
  • l’atto fiscale riguarda il recupero di aiuti di Stato.

4. È possibile attivare la procedura di accertamento con adesione per le liti soggette a mediazione tributaria?

Nella mediazione tributaria obbligatoria il contribuente può – anteriormente alla presentazione del ricorso con l’istanza di reclamo mediazione – presentare un’istanza di accertamento con adesione al fine di addivenire ad un accordo con l’Ufficio.

Nell’ipotesi in cui la procedura di accertamento con adesione non porti ad un esito positivo, il contribuente può esperire il reclamo dopo accertamento con adesione.

5. Accordo di mediazione: i vantaggi

Una volta attivato, il procedimento di mediazione tributaria viene gestito da uffici dell’Agenzia delle Entrate diversi rispetto all’ufficio che ha notificato l’atto di accertamento.

Tale Ufficio, all’esito dell’istruttoria operata in merito all’istanza presentata dal contribuente, può accogliere, anche parzialmente, o rigettare l’istanza stessa (diniego reclamo mediazione) oppure può formulare una proposta di mediazione tributaria (accoglimento parziale reclamo tributario).

Per quanto è di interesse in questa sede, va osservato che la mediazione tributaria comporta il beneficio per il contribuente sotto il profilo sanzionatorio: le sanzioni si applicano infatti nella misura del trentacinque per cento del minimo previsto.

Tale riduzione si ottiene anche nell’ipotesi in cui il contribuente, a seguito di mancato accordo su una eventuale riduzione dell’imposta da parte dell’Ufficio, opti per il pagamento dell’intera imposta richiesta con l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate.

La mediazione tributaria si conclude mediante la sottoscrizione di un apposito accordo di mediazione tra l’Ufficio e il contribuente e si perfeziona con il versamento entro venti giorni dell’intero importo dovuto ovvero della prima rata.

Nell’ipotesi in cui il contribuente – dopo al versamento della prima rata – non versi le rate successive, l’atto di mediazione costituisce titolo per la riscossione coattiva delle somme dovute.

6. Come attivare la mediazione tributaria: il ricorso reclamo

Per le controversie per le quali trova applicazione la mediazione tributaria obbligatoria, il contribuente – con un avvocato tributarista, che diventa in tal caso un mediatore tributario – deve innanzi tutto presentare un ricorso tributario telematico che produce anche gli effetti di un reclamo. Si tratta del ricorso reclamo o ricorso reclamo tributario.

Il contribuente, in caso di impugnazione, può anche presentare il ricorso con istanza di mediazione con la quale può proporre una soluzione alla pretesa dell’Agenzia delle Entrate al fine di pervenire ad un accordo con quest’ultima.

L’atto, comprensivo del ricorso reclamo tributario e dell’istanza di mediazione tributaria, deve essere notificato via PEC alla all’ufficio con le stesse modalità e sulla base degli stessi termini previsti per il ricorso tributario, entro 60 giorni dalla notifica dell’atto impositivo da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Al momento della notifica del ricorso reclamo, occorre allegare anche i documenti necessari affinché l’Agenzia delle Entrate possa esaminare la proposta di mediazione tributaria.

Anche per le liti tributarie soggette a mediazione tributaria si applica la sospensione feriale dei termini dal 1° al 31 agosto.

Inoltre, in caso di presentazione dell’istanza di accertamento con adesione il termine per la proposizione del ricorso reclamo è sospeso per un periodo di 90 giorni dalla data di presentazione da parte del contribuente dell’istanza di accertamento con adesione.

7. Deposito del ricorso reclamo alla Commissione Tributaria Provinciale

Una volta notificato il ricorso reclamo tributario, contenente l’istanza di mediazione tributaria, il contribuente prima di costituirsi in Commissione Tributaria Provinciale deve attendere 90 giorni a decorrere dalla notifica all’Ufficio dell’atto prima che il processo tributario entri nel vivo.

Vi è, in sostanza, una forma di sospensione termini ai fini della costituzione nei casi di mediazione tributaria, utile per consentire al contribuente e all’Amministrazione Finanziaria di tentare di pervenire ad un accordo.

Se non si perviene ad un accordo, trascorsi i 90 giorni, il ricorso reclamo tributario deve essere depositato in via telematica (SIGIT) entro 30 giorni presso la Commissione Tributaria Provinciale che ha sede nella medesima circoscrizione dell’ufficio dell’Agenzia delle Entrate che ha emesso l’atto impositivo.

Per procedere alla costituzione in giudizio mediante iscrizione a ruolo del ricorso reclamo tributario è necessario provvedere al pagamento del contributo unificato tributario. Considerato che nelle liti soggette a mediazione tributaria la controversia non può avere un valore maggiore a 50.000,00 euro, il contributo unificato tributario è pari a:

  • 30,00 euro, per controversie aventi un valore compreso tra 0 e 2.582,28 euro;
  • 60,00 euro, per controversie aventi un valore compreso tra 2.582,29 e 5.000,00 euro;
  • 120,00 euro, per controversie aventi un valore compreso tra 5.000,01 e 25.000,0 euro;
  • 250,00 euro, per controversie aventi un valore compreso tra 25.000,01 e 49.999,99 euro.

Il presente articolo ha uno scopo puramente informativo e divulgativo.

Le considerazioni in esso espresse non necessariamente si rendono applicabili al tuo caso concreto.

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Appello tributario: i termini di notifica e di deposito

Si rende necessario predisporre un appello tributario ogni qualvolta il contribuente, a seguito della presentazione di un ricorso tributario in Commissione Tributaria Provinciale, ottenga una sentenza a lui sfavorevole.

1. I requisiti

Come espresso dall’articolo 53 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, tale appello deve contenere:

  1. l’indicazione della Commissione Tributaria Regionale;
  2. l’appellante e l’appellato (Agenzia delle Entrate o Agenzia delle Entrate-Riscossione);
  3. gli estremi della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale;
  4. l’avviso di accertamento o l’atto fiscale di cui si chiede l’annullamento;
  5. l’esposizione sommaria dei fatti;
  6. i motivi specifici di impugnazione;
  7. la sottoscrizione del difensore;
  8. la nomina del difensore (procura appello tributario);
  9. l’indirizzo PEC e codice fiscale del difensore;
  10. l’indirizzo PEC e codice fiscale del ricorrente;
  11. la dichiarazione del valore della causa.

Qualora uno o più dei suddetti elementi non venisse indicato nell’atto, l’appello tributario potrebbe risultare inammissibile.

L’appellante ha facoltà di richiedere nel ricorso tributario in appello la sospensione dell’esecutività dell’atto se questo può provocargli, un danno grave e irreparabile, come stabilito dall’articolo 52, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.

È importante altresì notare che nel ricorso tributario in appello non possono essere proposte nuove domande, e se presentate, devono essere dichiarate inammissibili d’ufficio Per quanto riguarda il giudice non può disporre nuove prove, salvo non diventino indispensabili ai fini della decisione.

2. La Commissione Tributaria Regionale competente

Per una corretta costituzione nel secondo grado di giudizio, è necessario individuare la Commissione Tributaria Regionale competente

Ogni Commissione Tributaria Regionale, che ha sede in ogni capoluogo di Regione, esamina, in sostanza, gli appelli predisposti avverso le sentenze emesse dalle Commissioni Tributarie ubicate nelle Province di quella data Regione. Non tutte le Province italiane hanno la relativa Commissione Tributaria: si tratta delle nuove province di Barletta-Andria-Trani, Carbonia-Iglesias, Fermo, Medio-Campidano, Monza-Brianza, Ogliastra ed Olbia-Tempio.

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, ad esempio, è competente ad esaminare le sentenze Commissioni Tributarie che hanno sede nelle province della Lombardia.

Ciò significa che avverso una sentenza emessa dalle suddette Commissioni Tributarie dovrà essere necessariamente proposto un appello tributario da depositare presso la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia e non, ad esempio, presso la Commissione Tributaria Regionale del Lazio.

Una menzione deve essere poi fatta per le sezioni distaccate. In molte Regioni di Italia, la Commissione Tributaria Regionale ha delle sedi distaccate. In tal caso, anche alla luce della recente sentenza della Corte di Cassazione 30 dicembre 2020, n. 29886, bisogna prestare attenzione ad indicare la corretta Commissione Tributaria Regionale competente.

3. La notifica

Conoscere e rispettare i termini dell’appello è essenziale al fine di evitare l’inammissibilità ovvero l’improcedibilità dello stesso.

La disciplina applicabile nel processo tributario, contenuta nel decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, si richiama alla normativa contenuta nel codice di procedura civile.

In particolare, la notifica del ricorso in appello deve essere effettuata:

  • entro il termine sessanta giorni dalla notifica della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale ad opera della controparte;
  • entro il termine sei mesi dalla data di deposito della sentenza presso la segreteria della Commissione Tributaria Provinciale, se la stessa non è stata notificata dalla controparte.

Occorre sottolineare che la decorrenza dei suddetti termini è sospesa tra il 1° e il 31 agosto (la cosiddetta sospensione feriale).

Merita poi evidenziare che, sulla base della nuova disciplina inerente il processo tributario telematico, la notifica dell’appello tributario deve avvenire a mezzo PEC, ad eccezione di quei casi in cui per cause imputabili alla PEC del destinatario è possibile procedere alla notifica con le modalità analogiche.

Nel processo telematico tributario, la PEC è reperibile nei seguenti pubblici elenchi:

  • INI-PEC;
  • IPA.

4. La sua costituzione

È importante notare che per costituirsi in giudizio e depositare un appello tributario è obbligatorio avvalersi del processo telematico tributario, registrandosi al SIGIT.

La costituzione in appello deve avvenire entro il termine di 30 giorni a partire dalla data di notifica dell’atto alla controparte.

Unitamente all’appello e agli allegati occorre depositare le ricevute PEC di notifica e accettazione, anch’esse firmate digitalmente.

La costituzione dell’appellato deve avvenire entro 60 giorni della notifica, mediante il deposito di un atto di controdeduzioni all’appello.

5. Appello tributario telematico

Sulla base delle norme attuali, l’appello tributario deve essere formato con modalità digitale e deve:

  • essere costituito in formato PDF/A-1a o PDF/A-1;
  • essere sottoscritto con firma elettronica in formato p7m.

Se il ricorso in appello non viene predisposto sulla base di tali specifiche tecniche è inammissibile.

6. Appello tributario e appello incidentale tributario

Dall’appello tributario si distingue l’appello incidentale tributario.

L’appello incidentale tributario è lo strumento processuale che l’ordinamento fiscale mette a disposizione delle parti (contribuente o Agenzia delle Entrate/Agenzia delle Entrate-Riscossione) nell’ipotesi in cui queste siano risultate parzialmente vittoriose nel processo tributario di primo grado.

In tali ipotesi l’interesse di entrambe le parti è di proporre un ricorso in appello avverso la sentenza impugnata della Commissione Tributaria Provinciale.

Tuttavia, uno solo degli appelli tributari proposti può essere il principale.

Quindi, la parte che procede per prima alla notifica dell’appello alla controparte è sostanzialmente la parte che instaura la lite in secondo grado, determinando l’appello tributario principale.

La parte appellata – la parte cioè che per prima ha ricevuto la notifica dell’appello – dovrà invece proporre atto di controdeduzioni e appello incidentale tributario: quest’ultimo deve quindi essere formulato nello stesso atto di controdeduzioni della parte appellata.

In sostanza, l’appello incidentale tributario si distingue dal ricorso in appello per il solo motivo temporale, in quanto predisposto successivamente alla avvenuta notifica dell’appello principale.

L’appello incidentale tributario – unitamente alla parte dello stesso proposto a titolo di controdeduzioni all’appello tributario principale – deve essere proposto entro il termine di 60 giorni a decorrere dalla notifica dell’appello principale a pena di inammissibilità.

Il presente articolo ha uno scopo puramente informativo e divulgativo.

Le considerazioni in esso espresse non necessariamente si rendono applicabili al tuo caso concreto.

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Transazione fiscale: cosa è cambiato con le nuove regole?

La transazione fiscale è una particolare procedura avente natura transattiva (art 182 ter legge fallimentare) che si instaura nell’ambito del concordato preventivo (art 160 l fall) e nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione del debito (art 182 bis legge fallimentare).

L’obiettivo di tale procedura, chiamata anche concordato fiscale, è quello di consentire all’imprenditore in stato di crisi di ottenere una riduzione e/o una dilazione dei debiti tributari accertati dall’Agenzia delle Entrate.

Si tratta di uno strumento con cui le parti, impresa e Agenzia delle Entrate, tentano di trovare un punto di incontro tra le pretese erariali, da un lato, e il proseguimento della continuità aziendale e dei connessi livelli occupazionali, dall’altro.

È al riguardo da notare che la normativa è stata di recente modificata. In particolare, con l’entrata in vigore dell’articolo 3, comma 1-bis, del decreto-legge n. 125 del 2020, che ha modificato l’articolo 180, comma 4, e l’articolo 182-bis della legge fallimentare. Sulla base di tali modifiche, il Tribunale – se ritiene, sulla base dei risultati del professionista attestatore, che la proposta dell’imprenditore sia migliorativa rispetto all’ alternativa liquidatoria dell’impresa – può omologare il piano di concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione dei debiti anche in mancanza di adesione da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Attesa l’importanza delle modifiche apportate dal legislatore alla legge fallimentare è di recente intervenuta l’Agenzia delle Entrate con la circolare n 34/E del 29 dicembre 2020.

1. L’ambito di applicazione della transazione fiscale

La transazione fiscale trova applicazione in riferimento ai tributi di competenza dell’Agenzia delle Entrate. Si tratta, a titolo esemplificativo, delle seguenti imposte e tributi: IRES, IRPEF, IVA, IRAP, ritenute e addizionali, imposta sostitutiva sui finanziamenti, imposta di registro, imposte ipotecarie catastali, etc.

Rientrano nel campo di applicazione della transazione fiscale anche i tributi che costituiscono risorse dell’Unione Europea.

Transazione fiscale tributi locali: tale procedura non è applicabile per i tributi locali.

2. Il professionista attestatore: un professionista indipendente

Nell’ambito del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione del debito un ruolo essenziale, ai fini della riuscita della transazione fiscale, è ricoperto dal professionista attestatore.

Il ruolo di tale professionista è di particolare importanza in quanto lo stesso, ai fini della composizione della crisi di impresa, ha l’obbligo di attestare la veridicità dei dati aziendali e l’attuabilità concreta dell’accordo tra impresa e creditori.

Sulla base delle modifiche normative di recente operate, l’attestazione del professionista è uno degli elementi sulla base dei quali il Tribunale può omologare il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione del debito, anche in assenza del voto o dell’adesione dell’Agenzia delle Entrate.

L’obiettivo della relazione del professionista attestatore è quindi segnatamente quello di tutelare i terzi e i creditori estranei al piano di risanamento al fine di rafforzare la credibilità degli impegni assunti dal debitore mediante il piano assunto.

Il professionista attestatore, che sulla base delle recenti modifiche normative deve essere un professionista indipendente, ha il compito di attestare la veridicità dei dati contabili, dai quali emerge la situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell’impresa, nonché il compito di attestare la fattibilità e sostenibilità del piano di risanamento aziendale. La relazione del professionista, infatti, rappresenta il supporto su cui si fondano le proposte di soddisfacimento dei creditori, che non possono essere inferiori rispetto a quanto ricavabile nel caso di liquidazione fallimentare, tenuto conto delle cause di prelazione

3. La transazione fiscale nel concordato preventivo

Deve essere evidenziato che la transazione tributaria non è una transazione nel senso dell’articolo 1965 del codice civile.

Non può nemmeno definirsi un accordo di diritto privato.

Con il termine transazione fiscale si indicano le modalità con cui nell’ambito del concordato preventivo e nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti (art 182 bis) il debitore può ottenere una riduzione e/o una dilazione del proprio debito fiscale e previdenziale.

Per quanto riguarda il concordato preventivo, la legge fallimentare non stabilisce alcun vincolo all’abbattimento del credito erariale, a condizione che:

  • la proposta concordataria risulti migliore rispetto alla liquidazione della società soggetta a procedura concordataria;
  • i crediti tributari (assistiti da privilegio e non) non abbiano un trattamento deteriore rispetto a crediti di rango inferiore.

Di fondamentale importanza, nell’ambito del concordato preventivo è la relazione del professionista attestatore: tale relazione deve contenere tutti gli elementi necessari a dimostrare che la proposta nell’ambito di tale procedura sia più vantaggiosa per i crediti tributari dell’Agenzia delle Entrate rispetto all’ipotesi della liquidazione della società.

L’attestazione deve in particolare dare evidenza quale sia la soluzione in termini di maggiore apporto, rappresentato in via alternativa:

  • dai flussi economici che genera la continuità aziendale;
  • dall’esito della liquidazione fallimentare.

Tale relazione non è vincolante per l’Agenzia delle Entrate, che può comunque esprimere un parere negativo.

La valutazione della fattibilità giuridica ed economica della proposta e del piano viene eseguita da parte del commissario giudiziale. L’Agenzia delle Entrate, ove non intenda aderire alla transazione fiscale, deve fornire una puntuale motivazione, idonea a confutare in modo certo le osservazioni formulate dal commissario giudiziale.

4. La transazione fiscale nell’accordo di ristrutturazione dei debiti

Per quanto riguarda la transazione fiscale nell’accordo di ristrutturazione, la disciplina non cambia rispetto a quella descritta nel concordato preventivo fatta eccezione per i necessari adattamenti in relazione al diverso tipo di definizione concorsuale.

La differenza rispetto al concordato preventivo risiede nel fatto che l’adesione dell’Agenzia delle Entrate è vincolante per l’abbattimento del debito tributario: i creditori che dissentono dal piano possono rappresentare massimo il 40 per cento dei crediti e devono essere pagati entro 120 giorni dall’omologa o dalla scadenza (se il credito non è ancora scaduto alla data di omologazione).

Alla luce dell’articolo 182-ter, comma 5, della legge fallimentare, la relazione del professionista attestatore deve avere ad oggetto anche la convenienza del trattamento proposto con riferimento ai crediti tributari rispetto alla liquidazione.

La relazione del professionista attestatore deve avere ad oggetto:

  • la veridicità dei dati dell’azienda soggetta a procedura;
  • l’attuabilità dell’accordo;
  • la convenienza del trattamento proposto dei crediti tributari rispetto alla liquidazione della società.

Il professionista attestatore deve quindi compiere una valutazione molto simile a quella richiesta in caso di concordato preventivo.

5. La condotta e i precedenti fiscali del contribuente

La condotta del contribuente non è generalmente esaminata nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti e nell’ambito del concordato preventivo, ai fini della transazione fiscale: la valutazione in merito alla convenienza della proposta di trattamento del credito tributario non è quindi generalmente influenzata dall’operato del contribuente stesso.

Deve però evidenziarsi che ove vengano ravvisate delle condotte del contribuente volte a operare attività distrattive o decettive del patrimonio aziendale – con cui si incide direttamente sulla veridicità dei dati – le stesse possono influenzare negativamente la proposta transattiva.

Si pensi ad esempio:

  • alla simulazione della cessione di asset aziendali a soggetti correlati all’impresa;
  • alla conclusione di atti liberali non giustificati;
  • alle operazioni di riorganizzazione aziendale, finalizzate alla creazione di una bad company da sottoporre alla procedura;
  • l’uso di fatture per operazioni inesistenti.

Se dovessero pertanto emergere condotte di questo tipo, l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate deve effettuare una segnalazione al commissario giudiziale che ha il compito di revocare la procedura.

Per quanto riguarda i precedenti fiscali del contribuente, gli stessi non sono generalmente esaminati in sede di valutazione della proposta di transazione fiscale.

Anche se tali comportamenti sono normalmente oggetto di verifica nel corso delle attività di controllo fiscale e di verifica fiscale, non è esclusa una verifica in sede di procedura.

Una particolare importanza, in tal caso, rivestono i casi di frode come l’uso di falsa documentazione, di artifizi, di raggiri e/o la conclusione di operazioni simulate.

Si tratta, in sostanza, di condotte che denotano l’assenza di uno spirito di collaborazione e di trasparenza da parte del contribuente nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.

Qualora emergessero ipotesi di questo tipo, l’Amministrazione Finanziaria può imporre ai propri Uffici una particolare attenzione alla documentazione del contribuente che deve essere analizzata in maniera compiuta anche a discapito della celerità della procedura.

6. La rateizzazione del credito tributario nella transazione fiscale

Non vi è una regola generale per la rateizzazione del credito tributario nell’ambito della transazione fiscale.

Nel caso di concordato preventivo, è necessario effettuare una valutazione caso per caso tenendo conto delle caratteristiche della procedura e della fattispecie da esaminare.

Fattori che debbono essere valutati a tal fine sono:

  • il patrimonio, la natura e il know-how dell’azienda;
  • i rapporti commerciali e la concorrenza dell’azienda;
  • le aspettative di sviluppo del mercato;
  • l’ammontare complessivo del debito e la convenienza della proposta.

Sotto il profilo temporale, non vi è uno schema preordinato da seguire. Può essere infatti effettuata una valutazione positiva anche con riferimento a proposte di pagamento dilazionato basate su archi temporali lunghi (a condizione che l’azienda fornisca delle motivazioni oggettive).

L’obiettivo è quello di pervenire ad un accordo che sia sostenibile per l’azienda sottoposta a procedura.

7. Percentuali di ristoro e creditori strategici nella transazione fiscale

È importante notare che, ai fini della transazione fiscale, non vi è una percentuale di ristoro predefinita in base alla quale l’Agenzia delle Entrate può ritenersi soddisfatta nell’ambito del concordato preventivo. L’unica regola a cui occorre attenersi è quella secondo cui la proposta di soddisfacimento del credito tributario non deve essere inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione dell’impresa.

Per quanto concerne invece gli accordi di ristrutturazione dei debiti, pattuizioni volte ad estendere gli effetti remissori della transazione a favore dei coobbligati non possono considerarsi automaticamente ostative per l’accoglimento della proposta transattiva.

Si rammenta, poi, il principio generale del trattamento non deteriore per i crediti dell’erario. Tale principio è derogabile – nel concordato preventivo e nell’accordo di ristrutturazione dei debiti – solamente in presenza di creditori a valenza strategica, ritenuti imprescindibili ai fini della continuità aziendale.

Il presente articolo ha uno scopo puramente informativo e divulgativo.

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