Fatture soggettivamente inesistenti: cosa sono?

Quando si menzionano le fatture soggettivamente inesistenti ci si riferisce a quelle fatture che documentano operazioni fraudolente, il cui scopo è porre in essere una frode fiscale al fine di evadere l’IVA.

In particolare, per fatture soggettivamente false si intendono quelle operazioni i cui partecipanti non corrispondono ai soggetti intestatari della fattura: si tratta di operazioni effettivamente realizzate, ma non in capo ai soggetti che risultano dal punto di vista documentale.

Nell’ambito di tali operazioni la posizione più delicata è quella dell’acquirente, il quale spesso deve dimostrare che l’acquisto da lui effettuato non si inseriva in una evasione fiscale.

1. Fatture soggettivamente inesistenti: la normativa

La normativa relativa alle fatture soggettivamente inesistenti è contenuta:

  • nell’articolo 21, comma 7, del D.P.R. n. 633 del 1972;
  • nell’articolo 1, lettera a), del D. Lgs n. 74 del 2000.

2. Fatture soggettivamente inesistenti: esempio

La frode realizzata mediante utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti può essere così descritta.

Un soggetto nazionale (il cosiddetto missing trader) effettua da un soggetto estero l’acquisto di un bene o di un servizio. In tal caso, il soggetto estero emetterà nei confronti del missing trader una fattura senza applicazione dell’IVA, il quale a sua volta emetterà una autofattura ai fini della registrazione dell’acquisto nel registro delle fatture.

Successivamente, il missing trader procede a cedere il bene o il servizio ad un soggetto italiano – spesso ignaro – al quale addebita l’IVA in via di rivalsa.

L’acquirente detrae ai sensi dell’articolo 19, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, l’IVA addebitata dal missing trader. È importante notare che quest’ultimo, avendo acquistato il bene o il servizio dal soggetto estero senza l’IVA, ha la possibilità di operare sul mercato con un prezzo particolarmente vantaggioso (di norma del 10/12 per cento inferiore alla concorrenza). Il missing trader, dopo aver incassato l’IVA dal cessionario, non procede al versamento della stessa.

È da evidenziare che nell’ambito di operazioni soggettivamente inesistenti, lo schema fraudolento può essere realizzato anche con soggetti nazionali e con catene di cessioni di beni o prestazioni di servizi molto più articolare di quelle descritte.

Nell’ambito di una frode fiscale operata mediante l’emissione di fatture soggettivamente inesistenti, la posizione più delicata è senza dubbio quella del cessionario – spesso ignaro – a cui viene disconosciuta la detrazione dell’IVA.

3. Fatture soggettivamente inesistenti: l’onere della prova

La delicata questione dell’onere della prova in caso di frode IVA di natura soggettiva è stata affrontata dalla Corte di Giustizia (cfr. la sentenza C-277/14, punto 50).

La Corte di Giustizia ha affermato che “spetta all’amministrazione tributaria, che abbia constatato evasioni o irregolarità commesse dall’emittente della fattura, dimostrare, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal destinatario della fattura verifiche che non gli incombono, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata per fondare il suo diritto alla detrazione si iscriveva in un’evasione dell’IVA, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”.

Solo il tali ipotesi, ad avviso della Corte di Giustizia, il contribuente “deve essere considerato (…) partecipante a tale evasione, e ciò indipendentemente dalla circostanza di trarre o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette a imposta da lui effettuate a valle” (cfr. la sentenza C-277/14, punto 50).

In tale sentenza, la Corte di Giustizia ha chiarito che è onere dell’Amministrazione Finanziaria dimostrare che il cessionario acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere che il suo acquisto si inseriva nell’ambito di un’evasione fiscale.

Tale interpretazione è stata di recente condivisa dalla stessa Corte di Cassazione.

La suprema Corte nella sentenza 11 novembre 2020, n. 25426, ha affermato che “è principio condiviso quello secondo cui in tema di IVA, il principio di neutralità dell’imposizione comporta che l’Amministrazione finanziaria, ove contesti che siano state poste a fondamento della detrazione della relativa imposta operazioni soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche in via presuntiva, la ricorrenza di elementi oggettivi dai quali emerga che il contribuente, nel momento in cui acquistò il bene o il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente aveva evaso l’imposta o partecipato ad una frode. Spetta, pertanto, al destinatario della fattura emessa per un’operazione inesistente, ai fini della detrazione dell’imposta, la prova della propria buona fede nel caso in cui dimostri di avere adempiuto a tutti gli obblighi formali e di diligenza richiesti a un operatore del settore e di essere stato nell’oggettiva impossibilità di conoscere l’eventuale frode”.

Dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte di Cassazione emerge che in caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’onere della prova, anche mediante l’utilizzo di presunzioni, incombe sull’Amministrazione Finanziaria.

4. Fatture soggettivamente inesistenti: la buona fede

Ove l’Amministrazione Finanziaria dimostri che il cessionario sapeva – o avrebbe potuto sapere con l’ordinaria diligenza – che l’acquisto effettuato si inseriva nell’ambito di una frode fiscale, spetta a tale cessionario dimostrare la sua estraneità fornendo apposita prova contraria.

In sostanza, l’ottemperanza al dovere probatorio da parte del Fisco, nei termini appena delineati, determina un’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente, il quale dovrà dimostrare la propria buona fede.

Su quest’ultimo aspetto, la giurisprudenza ha affermato che la buona fede dell’acquirente non può essere dimostrata mediante la mera esibizione di una contabilità regolare o mediante la dimostrazione dell’assenza di un vantaggio economico. In tal caso si rende necessario dare evidenza di aver fatto tutto il possibile per appurare la correttezza fiscale dell’operazione.

5. Fatture soggettivamente inesistenti: la deducibilità del costo

Le conseguenze che si producono sotto il profilo fiscale nell’ambito delle fatture soggettivamente false sotto il profilo soggettivo riguardano soltanto la detrazione dell’IVA in capo al cessionario e non la deducibilità dei costi sostenuti.

Ai fini delle imposte sui redditi si perviene, infatti, a delle differenti conclusioni.

Infatti, dopo l’introduzione operata dal decreto-legge n. 16 del 2012 del comma 4-bis all’articolo 14 della legge n. 537 del 1993 – che ha previsto l’indeducibilità dei costi “direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo” – i costi documentati mediante fatture soggettivamente inesistenti vengono in via generale considerati deducibili, in quanto relativi a un’operazione che solo in via marginale può ritenersi una fattispecie delittuosa.

A tal fine, di particolare importanza appaiono le considerazioni espresse dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13844 del 6 luglio 2020.

In tale ordinanza, la Corte ha evidenziato che “sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una “frode carosello”), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, oppure di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo”.

6. Fatture soggettivamente inesistenti: le sanzioni

Nelle ipotesi in cui venga contestato al cessionario l’utilizzo di fatture soggettivamente false, a tale soggetto, oltre al disconoscimento della detrazione dell’IVA operata, si renderanno applicabili le seguenti sanzioni.

  • Sanzione per infedele dichiarazione: dal 135 al 270 per cento (articolo 5, commi 4 e 4-bis, del decreto n. 471 del 1997).
  • Sanzione per illegittima detrazione dell’IVA: dal 90 al 180 per cento (articolo 6, comma 6, del decreto n. 471 del 1997).

Il presente articolo ha uno scopo puramente informativo e divulgativo.

Le considerazioni in esso espresse non necessariamente si rendono applicabili al tuo caso concreto.

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