Quando un soggetto – titolare di redditi da assoggettare tassazione – trasferisce formalmente tali redditi ad un altro soggetto, con l’intento di fare apparire quest’ultimo agli occhi dell’Amministrazione Finanziaria come l’effettivo percipiente degli stessi, si realizza la c.d. interposizione fittizia in ambito tributario.
Più nello specifico, l’interposizione fittizia si realizza quando un soggetto chiamato interponente – che il è titolare effettivo del reddito– attraverso una serie di atti giuridici sostituisce sé stesso, nell’ambito di detti redditi, con un altro soggetto (il cosiddetto interposto o prestanome).
L’interposizione fittizia realizza una scissione tra il titolare effettivo di redditi e il titolare apparente. Vediamo alcuni esempi.
Esempio n. 1
Un esempio classico è quello di un contribuente persona fisica che appare al Fisco come socio unico di una s.r.l., ma che in realtà “presta il suo nome” ad un altro soggetto che è invece il socio principale di tale società (si tratta dell’interposizione fittizia di persona).
Esempio n. 2
Un altro esempio classico è quello di una persona fisica che appare al Fisco come amministratore o socio unico della società X s.r.l., ma che in realtà funge da prestanome ad un altro soggetto che è invece il vero amministratore o socio della società e che intende deresponsabilizzarsi in caso di verifica fiscale da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Esempio n. 3
Si pensi ad una persona fisica che ha acquistato in un dato comune una unità immobiliare per cui ha usufruito delle agevolazioni per l’acquisto della prima casa, ma che in realtà funge da soggetto interposto ad un’altra persona fisica che ha già usufruito in quel dato comune delle medesime agevolazioni e che quindi non può più utilizzarle (anche qui si tratta dell’interposizione fittizia di persona).
Affinché possa concretizzarsi l’interposizione fittizia è necessario un accordo tra interposto e interponente, allo scopo di sottrarre quest’ultimo alla normativa fiscale e dai relativi obblighi.
L’interposizione fittizia può essere ricondotta nell’ambito dell’istituto giuridico della simulazione relativa, considerando che il fisco è, ovviamente, parte estranea all’accordo simulatorio. Ciò significa che l’accordo non può essere utilizzato con l’Amministrazione Finanziaria il cui scopo è invece quello di individuare il corretto soggetto percipiente del redito prodotto.
Se l’interposizione fittizia viene realizzata in ambito fiscale, l’ordinamento tributario – attraverso l’art. 37 DPR 600/1973 – attribuisce all’Agenzia delle Entrate la possibilità di imputare agli effettivi contribuenti i redditi di cui appaiono titolari invece altri soggetti.
L’Amministrazione Finanziaria, in sede di rettifica e accertamento d’ufficio delle dichiarazioni dei redditi, può correttamente ricondurre i redditi imputati al contribuente apparente in capo all’effettivo contribuente titolare di tali redditi.
È opportuno ricordare, inoltre, che il Fisco può assolvere ai propri compiti di controllo del rispetto della normativa fiscale anche attraverso l’esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche.
L’attribuzione del reddito al reale titolare avviene mediante l’utilizzo di presunzioni gravi, precise e concordanti.
È importante evidenziare che è consentita la possibilità al contribuente di richiedere un parere all’Amministrazione Finanziaria per verificare se le disposizioni in questione si applichino alla propria specifica situazione.
Può accadere che il soggetto interposto abbia già pagato le imposte relative ai redditi che sono stati poi imputati all’interponente a seguito dei controlli operati dal fisco.
L’art. 37 DPR 29 settembre 1973 n. 600, prevede la possibilità per l’interposto di richiedere il rimborso di quanto versato, previa prova del pagamento effettuato.
L’Agenzia delle Entrate procederà al rimborso dopo l’avvenuta definizione dell’accertamento ed in misura non superiore all’imposta percepita.
Nell’interposizione reale l’interposto si comporta come il reale contraente, trasferendo in periodo successivo all’interponente i diritti scaturiti dal contratto.
L’interposizione reale presuppone, quindi, un accordo tra interposto e interponente.
L’interposto, in virtù di tale accordo, risulta l’effettivo contraente ed è destinatario degli effetti del contratto. Obbligandosi a trasferire tali effetti all’ interponente con un ulteriore atto.
Le operazioni poste in essere dall’interposto sono, dunque, effettive reali e volute.
La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto ravvisabile anche nell’ambito dell’interposizione reale un fine elusivo della normativa fiscale.
La Corte di Cassazione ha chiarito che per integrare un comportamento elusivo è sufficiente un uso improprio, non giustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico (cfr. le sentenze della Corte di Cassazione n. 21794/2014 e n. 26445/2018).
La Suprema Corte ha statuito che rileva anche il carattere reale e non simulato di una sequenza negoziale, se permette di superare il regime fiscale (cfr. la sentenza della Corte di Cassazione n. 5408 del 2017).
Qualora l’Amministrazione Finanziaria non riesca a fornire la prova della realizzazione dell’interposizione fittizia attraverso l’utilizzo di presunzioni, la stessa ha comunque la possibilità di contestare al contribuente di aver posto in essere un abuso del diritto (o elusione fiscale).
La definizione normativa dell’abuso del diritto è contenuta nell’art. 10 bis Legge del 27/07/2000 n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente). Tale norma attribuisce la possibilità all’Amministrazione Finanziaria di disconoscere operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti.
L’abuso del diritto è un modo di conseguire un vantaggio fiscale indebito attraverso il formale corretto rispetto della normativa fiscale.
Non ci troviamo in presenza di abuso del diritto quando le operazioni sono giustificate da valide ragioni extrafiscali realizzate per migliorare l’impresa o l’attività professionale.
In ogni caso è concessa la possibilità al contribuente di proporre interpello per verificare se la sua condotta rientri in un’ipotesi di abuso del diritto.
L’interposizione fittizia può realizzarsi anche quando l’interposto è rappresentato da una società.
L’attribuzione della titolarità dei redditi ad una società in luogo dell’effettivo titolare persona fisica può essere vantaggiosa per l’interponente in termini fiscali.
L’imposizione fiscale sul reddito delle persone fisiche, infatti, risulta più onerosa rispetto a quella gravante sulle società.
È quanto ha chiarito l’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 89/2020.
In tale risoluzione l’Agenzia delle Entrate ha analizzato il caso di un contribuente, già amministratore di due società, che aveva costituito una nuova società, di cui era amministratore unico e alla quale conferiva l’amministrazione delle due succitate società.
Il contribuente persona fisica, dunque, continuava ad amministrare le due società, per il tramite della nuova società da lui costituita.
La nuova società costituita fungeva, pertanto, da realtà interposta, occultando l’effettivo titolare, ossia la persona fisica interponente.
Attraverso questo meccanismo, i redditi delle due società non figuravano tra i redditi del contribuente persona fisica, con evidenti vantaggi dal punto di vista fiscale.
Nel caso di specie l’Agenzia delle entrate ha correttamente ricondotto i redditi della società interposta all’effettivo titolare persona fisica.
La tematica dell’interposizione fittizia è complessa e trasversale, potendo essere realizzata anche attraverso società fiduciarie, trust e con interposti situati all’estero.
Il presente articolo ha uno scopo puramente informativo e divulgativo.
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