LEGGE DI BILANCIO 2023 – SCOPRI LE NOVITÁ!

La “Legge di Bilancio 2023” (Legge n. 197/2022) stabilisce importanti novità per chi ha debiti tributari.

In particolare, sono due le misure importanti per i contribuenti:

  • lo “stralcio” dei debiti di importo residuo fino a mille euro affidati all’Agente della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2015;
  • la “Definizione agevolata” dei carichi affidati all’Agente della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022. Quest’ultima misura, nota anche come “Rottamazione quater”, permette al contribuente di estinguere i debiti iscritti a ruolo senza corrispondere le somme affidate all’Agente della Riscossione a titolo di interessi e sanzioni, interessi di mora e aggio.

Le disposizioni normative prevedono tuttavia il pagamento dell’importo dovuto a titolo di somme di capitale, diritti di notifica degli atti e spese dovute per l’avvio di procedure esecutive.

Legge di Bilancio 2023

COME ADERIRE ALLA ROTTAMAZIONE QUATER

Per aderire alla “Definizione agevolata”, il contribuente deve presentare una dichiarazione di adesione entro il 30 aprile 2023.

LEGGE DI BILANCIO 2023: COME SI SALDA IL DEBITO?

Il pagamento delle somme dovute per la definizione può essere effettuato mediante:

  • domiciliazione sul conto corrente;
  • moduli di pagamento precompilati che l’agente della riscossione è tenuto ad allegare alla comunicazione;
  • presso gli sportelli dell’agente della riscossione.

Sono esclusi dalla definizione i debiti risultanti dai carichi affidati agli agenti della riscossione recanti:

  • le risorse proprie tradizionali e l’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione;
  • le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato;
  • i crediti derivanti da pronunce di condanna della Corte dei conti;
  • le multe, le ammende e le sanzioni pecuniarie dovute a seguito di provvedimenti e sentenze penali di condanna;
  • le sanzioni diverse da quelle irrogate per violazioni tributarie o per violazione degli obblighi relativi ai contributi e ai premi dovuti agli enti previdenziali.

Per gestire al meglio la rottamazione delle cartelle contattaci compilando il modulo in fondo a questa pagina. 

PACE FISCALE 2023: ECCO LE MISURE PREVISTE!

Nella Pace Fiscale prevista nella Legge di Bilancio 2023 ci sono diverse misure fiscali a sostegno del contribuente.

I debiti di importo residuo fino a 1.000 euro, al 1° gennaio 2023, comprensivi di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, derivanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2015, saranno automaticamente annullati.

Pace Fiscale 2023

PACE FISCALE 2023: PER QUALI DEBITI È PREVISTA LA DEFINIZIONE AGEVOLATA?

È prevista poi la definizione agevolata dei debiti derivanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022. Tali debiti potranno essere estinti pagando solo le somme dovute a titolo di capitale e quelle maturate per le spese delle procedure esecutive e di notifica della cartella di pagamento, senza dover pagare sanzioni e interessi.

Il pagamento dovrà essere effettuato entro il 31 luglio 2023 in un’unica soluzione oppure in 18 rate, di cui le prime due scadono rispettivamente il 31 luglio e il 30 novembre 2023; le restanti rate dello stesso importo, invece, scadranno il 28 febbraio, il 31 maggio, il 31 luglio e il 30 novembre di ogni anno a partire dal 2024.

È prevista anche la definizione agevolata delle somme dovute a seguito del controllo automatizzato delle dichiarazioni, per le quali il termine di pagamento non è ancora scaduto al 1° gennaio 2023 o che sono state recapitate successivamente a tale data. Queste somme possono essere definite pagando le imposte, o i contributi previdenziali, gli interessi e le somme aggiuntive.

Il governo ha previsto anche delle agevolazioni per la definizione di somme dovute a seguito di controlli fiscali.

In questo caso, quanto dovuto può essere definito con il pagamento delle imposte e dei contributi previdenziali, degli interessi e delle sanzioni nella misura del 3%.

INFRAZIONI RELATIVE ALLE IMPOSTE SUI REDDITI, IVA, IRAP

Infrazioni e inosservanze di natura formale relative alle imposte sui redditi, all’IVA e all’IRAP commesse fino al 31 ottobre 2022 possono essere regolarizzate mediante il versamento, in due rate di una somma di 200 euro per ogni periodo d’imposta.

Violazioni diverse da quelle formali e da quelle derivanti da controlli fiscali possono essere regolarizzate con il versamento, entro il 31 marzo 2023, di una somma pari a 1/18 del minimo edittale delle sanzioni previste dalla legge, oltre all’imposta e agli interessi dovuti.

DEFINIZIONE DELLE CONTROVERSIE TRIBUTARIE PENDENTI

Le controversie tributarie pendenti, invece, potranno  essere definite con il pagamento di un importo pari al loro valore o, in caso di ricorso pendente in primo grado, con il pagamento del 90% del valore della controversia. Se il ricorso è stato accolto in primo grado, il pagamento sarà del 40%, mentre se il ricorso è stato accolto in secondo grado, il pagamento sarà del 15%.

Sarà anche possibile optare per una conciliazione agevolata basata sulla tipologia di conciliazione fuori udienza, con il pagamento di sanzioni ridotte a 1/18 del minimo previsto dalla legge.

MODALITÁ ED EFFETTI DELLA DOMANDA

Per usufruire di questa possibilità, il debitore dovrà presentare entro il 30 aprile 2023 una dichiarazione, esclusivamente telematica, all’agente della riscossione per manifestare la propria volontà di procedere alla definizione.

È possibile presentare le domande a partire dal 21 gennaio 2023, ma si consiglia di farlo il prima possibile in quanto dal momento della presentazione della domanda:

  • i termini di prescrizione e decadenza sono sospesi;
  • gli obblighi di pagamento derivanti da precedenti dilazioni in essere alla data di presentazione sono sospesi fino alla scadenza della prima o unica rata delle somme dovute a titolo di definizione;
  • non possono essere iscritti nuovi fermi amministrativi e ipoteche, fatti salvi quelli già esistenti alla data di presentazione;
  • non possono essere avviate nuove procedure esecutive;
  • le procedure esecutive precedentemente avviate non possono essere proseguite, salvo che non si sia tenuto il primo incanto con esito positivo;
  • il debitore non è considerato inadempiente ai fini di cui agli articoli 28-ter e 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.

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Per gestire al meglio la rottamazione delle cartelle contattaci compilando il modulo in fondo a questa pagina. 

ROTTAMAZIONE CARTELLE 2023

La Legge di Bilancio 2023 ha introdotto una nuova rottamazione delle cartelle. Si tratta della Rottamazione quater, che permette ai debitori di estinguere alcuni dei loro debiti fiscali senza pagare gli interessi, le sanzioni e le somme aggiuntive.

Secondo la legge, i debiti che possono essere estinti sono quelli risultanti dai carichi affidati agli agenti della riscossione tra il 1° gennaio 2000 e il 30 giugno 2022.

Per poter procedere con la rottamazione delle cartelle, i debitori devono infatti pagare solo le somme dovute a titolo di capitale e quelle maturate a titolo di rimborso delle spese per le procedure esecutive e di notifica della cartella di pagamento.

Rottamazione cartelle 2023

ROTTAMAZIONE CARTELLE: MODALITÁ DI PAGAMENTO

Il pagamento del debito può essere effettuato in un’unica soluzione entro il 31 luglio 2023 oppure in 18 rate.

La prima e la seconda rata, ciascuna pari al 10% del totale dovuto, scadono rispettivamente il 31 luglio e il 30 novembre 2023; le le restanti scadono il 28 febbraio, il 31 maggio, il 31 luglio e il 30 novembre di ogni anno a partire dal 2024.

Nel caso di pagamento rateale, gli interessi al 2% annuo saranno dovuti a partire dall’1° agosto 2023.

COME ACCEDERE ALLA ROTTAMAZIONE DELLE CARTELLE

Per procedere alla definizione, i debitori devono accedere all’area riservata del sito dell’agente della riscossione per conoscere i dati dei propri carichi definibili e presentare, entro il 30 aprile 2023, una dichiarazione di volontà di procedere alla definizione utilizzando le modalità telematiche fornite dall’agente stesso.

In questa dichiarazione, i debitori devono anche indicare il numero di rate in cui intendono effettuare il pagamento e se ci sono giudizi pendenti riguardanti i carichi in questione, il debitore, attraverso la dichiarazione, si assume l’impegno a rinunciare a tali giudizi.

Il debitore ha anche la possibilità di integrare la dichiarazione presentata entro il 30 aprile 2023, utilizzando le modalità previste. A seguito della presentazione della dichiarazione:

  • i termini di prescrizione e decadenza sono sospesi;
  • gli obblighi di pagamento derivanti da precedenti dilazioni in essere alla data di presentazione sono sospesi fino alla scadenza della prima o unica rata delle somme dovute a titolo di definizione;
  • non possono essere iscritti nuovi fermi amministrativi e ipoteche, ad eccezione di quelli già iscritti alla data di presentazione;
  • non possono essere avviate nuove procedure esecutive, e le procedure esecutive precedentemente avviate non possono essere proseguite, salvo che non si sia tenuto il primo incanto con esito positivo;
  • il debitore non è considerato inadempiente;
  • il DURC può essere rilasciato.

Si precisa che le dilazioni sospese sono automaticamente revocate alla data del 31 luglio 2023. Il pagamento della prima o unica rata delle somme dovute a titolo di definizione determina l’estinzione delle procedure esecutive precedentemente avviate, salvo che non si sia tenuto il primo incanto con esito positivo.

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REDDITI ESTERI: SE NON LI DICHIARI, RISCHI!

Redditi esteri, come immobili, conti correnti, attività finanziarie di varia natura, non dichiarati totalmente o parzialmente nel quadro RW della dichiarazione dei redditi? Potresti rischiare un accertamento.

redditi esteri
Redditi esteri non dichiarati

COSA ACCADE QUANDO NON SI DICHIARANO I REDDITI CHE POSSIEDI ALL’ESTERO?

L’Agenzia delle Entrate ogni anno effettua controlli sulla correttezza dei redditi di fonte estera da te dichiarati. Questo tipo di controllo viene effettuato analizzando i dati pervenuti dalle agenzie fiscali degli stati esteri, proprio al fine di sanzionare coloro che, pur detenendo attività reddituali all’estero, non le hanno inserite nel cosiddetto “quadro RW” del modello Unico.

È necessario prestare la dovuta attenzione quando si detengono attività finanziarie in Paesi che possono essere definiti Paradisi Fiscali.

L’omessa indicazione di queste attività nella dichiarazione dei redditi comporta un raddoppio dei termini di accertamento, al fine di consentire all’Amministrazione Finanziaria di avere un prolungamento temporale per l’attività accertativa.

Tale prolungamento dell’azione accertatrice porta con sé una ulteriore presunzione importante, ovvero il fatto che tali attività non dichiarate si presumono costituite con redditi sottratti a tassazione italiana. Le ordinarie sanzioni legate all’omessa o infedele dichiarazione, inoltre, sono raddoppiate come indicato nell’ art. 12, co. 2 D.L. n. 78/09.

In situazioni come queste potresti essere pesantemente sanzionato per aver violato il cosiddetto obbligo di “monitoraggio fiscale”, oltre a permettere all’Amministrazione finanziaria di presumere che i redditi esteri non dichiarati siano stati frutto di evasione (art. 12 del D.L. n. 78/2009).

In questa tipologia di controlli in sostanza, l’Agenzia delle Entrate è legittimata ad avvalersi di un termine di accertamento prolungato, per l’esattezza, raddoppiato!

In sostanza, oggi potresti subire un controllo che potrà “retrocedere” fino a 8 annualità se l’Agenzia delle Entrate riscontra delle incongruenze tra i dati in suo possesso e quelli da te dichiarati

REDDITI ESTERI: LE DIVERSE MODALITÁ DI CONTROLLO MESSE IN ATTO DALL’AGENZIA DELLE ENTRATE

L’Agenzia delle entrate può effettuare i controlli adottando diversi metodi.

La prima modalità consiste nell’invio di una lettera di compliance, quando il contribuente ha presentato la dichiarazione dei redditi e ha omesso o dichiarato in modo errato redditi di fonte estera

Un altro modo per controllare può avvenire attraverso la richiesta di invito a comparire per instaurare un procedimento di accertamento con adesione quando il contribuente non ha presentato la dichiarazione dei redditi in Italia e ha omesso la dichiarazione dei redditi di fonte estera.

IN CHE MODO PUÓ CONCLUDERSI IL CONTRADDITTORIO CON IL CONTRIBUENTE?

Il contraddittorio con il contribuente può concludersi in tre modi:

  1. Archiviazione per non luogo a procedere, qualora sia emersa l’insussistenza delle condizioni per procedere all’accertamento. In questo caso il contribuente ha prodotto la documentazione utile a far cessare la pretesa del Fisco.
  2. Atto di adesione, qualora il contribuente intenda definire la propria posizione non volendo o non potendo contestare la posizione dell’Agenzia delle Entrate
  3. Atto di accertamento, ove il contribuente non si sia presentato in contraddittorio o non abbia definito l’accertamento con adesione a seguito del contraddittorio.

Se anche tu hai redditi all’estero o non hai una posizione fiscale chiara, rivolgiti subito agli esperti di 4tax che ti guideranno verso la risoluzione migliore del tuo problema con il Fisco.

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Se ti interessa questo argomento guarda il video.

DEBITI FISCALI: COME ESTINGUERLI

Hai dei debiti fiscali e non sai come risolvere?

Spesso le somme richieste da parte dell’Agenzia dell’Entrate ai contribuenti sono così alte che non si riesce a far fronte ai pagamenti; di conseguenza i debiti si accumulano sempre di più nei casi più gravi possono portare al pignoramento dei propri beni.

debiti fiscali

Sappi, però, che esistono delle soluzioni legittime per affrontare e gestire queste situazioni che ti consentono di uscirne e di poter tornare a dormire sonni tranquilli.

QUALI METODI PUOI ADOTTARE PER RISOLVERE IL PROBLEMA DEI DEBITI FISCALI?

Una prima alternativa, che può essere richiesta sia dai privati che dagli imprenditori o dai lavoratori con partita iva, è la rateizzazione.

Questa soluzione permette di suddividere il debito nel corso degli anni a seconda di quanto dovuto. Sarà l’ufficio a determinare il numero di rate. È un’opzione anche d’emergenza per bloccare eventuali azioni esecutive.

Stai attento perché tra la richiesta di rateizzazione e l’accoglimento della stessa passa talvolta del tempo prezioso.

Per i privati e per tutti i soggetti non fallibili, abbiamo la procedura di sovraindebitamento. È una procedura che deve essere applicata tutte quelle volte in cui vi è uno squilibrio tra il patrimonio liquidabile del soggetto e l’esposizione debitoria. È una procedura che consente, quindi, di abbattere il debito in base alla reale capacità del soggetto di far fronte al residuo mediante al pagamento di rate.

Per le imprese abbiamo la composizione negoziata della crisi di impresa.

La composizione negoziata della crisi di impresa è un percorso riservato e stragiudiziale con il quale il legislatore intende agevolare il risanamento di quelle imprese che, pur trovandosi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, hanno le potenzialità necessarie per restare sul mercato, anche mediante il trasferimento dell’azienda o di rami di essa.

CHI PUÓ ACCEDERE ALLA PROCEDURA?

Possono accedere alla procedura di composizione negoziata tutte le imprese iscritte al Registro delle Imprese, comprese le ditte individuali e le società agricole. Il percorso della composizione è esclusivamente di tipo volontario, quindi attivabile solo dalle imprese che decidono di farvi ricorso.

Se hai dei debiti con il Fisco e non sei esperto in materia, affidati ad un team di professionisti in grado di consigliarti il percorso migliore per la tua situazione.

Per rimanere sempre aggiornato in materia tributaria visita il nostro blog e se vuoi conoscere maggiori dettagli su questo argomento guarda il video.

FLAT TAX: PUÓ DIVENTARE UNA TASSA PROGRESSIVA?

In questo periodo si parla di flat tax in Italia. E in molti si chiedono come sarà e se violi davvero la Costituzione.

COSA SIGNIFICA FLAT TAX?

La flat tax è un’imposta con un’aliquota unica per tutti, proporzionale rispetto al reddito complessivo, e nella misura del 15%. Per intenderci è un’imposta che si applica a prescindere dal reddito prodotto.

Se hai un reddito di 10.000, con un’aliquota ad esempio del 10 per cento, pagherai un’imposta pari a 1000. Se hai un reddito da 100.000 euro pagherai 10.000 euro e così via.

Quindi la tassa piatta – la flat tax appunto – non è progressiva e proporzionale rispetto al reddito prodotto. Caratteristiche che invece l’IRPEF attuale ha, nel pieno rispetto della nostra costituzione e dell’art. 53.

L’IRPEF, in qualità di imposta progressiva e proporzionale, cresce o diminuisce in modo più che proporzionale rispetto all’aumento o alla diminuzione del reddito.

Infatti

fino a euro 15.000,00         23%

da 15.001,00 fino a 28.000,00 euro          25%

da 28.001 fino a 50.000 euro         35%

oltre 50.001 euro      43%

In questo modo il sistema oggi garantisce che i redditi più alti contribuiscano di più al finanziamento dei servizi pubblici (scuole, sanità etc.), non solo perché pagano di più in termini assoluti, ma proprio perché sono tassati con aliquote più alte.

Tutto questi è previsto nell’art. 53 della Costituzione.

Il tema è che la tassa piatta sembrerebbe contrastare con questo principio fondamentale.

E allora come si può risolvere? Ma può diventare progressiva e non essere anticostituzionale?

Probabilmente un modo c’è.

Se si affianca l’aliquota unica per tutti ad un sistema di deduzioni e detrazioni fiscali articolato in base al reddito e alle caratteristiche del nucleo famigliare, la flat tax può diventare compatibile con la progressività.

Sotto una certa soglia, i redditi sarebbero esenti dal pagamento dell’imposta, mentre oltre un certo reddito non ci sarebbe nessuna detrazione, all’interno della forbice, infine, le detrazioni e le deduzioni sarebbero modulate in base a determinati parametri predeterminati che garantirebbero la progressività dell’imposta.

Proprio grazie a questi correttivi si parla di flat tax progressiva che, nonostante l’aliquota fissa, non oltraggerebbe comunque l’articolo 53 della Costituzione. Per rimanere sempre aggiornato in materia tributaria, visita il nostro blog

Trasferimento all’estero: ricordati di iscriverti all’AIRE!

Trasferimento all’estero? Non dimenticarti di iscriverti all’AIRE!

Trasferimento all’estero? Cosa succede se una persona che ha la residenza fiscale in Italia si dimentica di iscriversi all’AIRE? (Anagrafe degli italiani all’estero)

Per il Fisco italiano sei sempre residente in Italia e quindi devi pagare le tasse al Paese.

Chi è fiscalmente residente in Italia?

Sei residente in Italia se per la maggior parte del periodo di imposta sei iscritto nell’anagrafe della popolazione residente, se hai il domicilio ai sensi del codice civile nel territorio dello Stato e hai la residenza ai sensi del Codice Civile nel territorio dello Stato.

Queste casistiche sono alternative, ciò significa che una persona ha la residenza fiscale in Italia solo se soddisfa una delle tre condizioni.

E se nel trasferimento all’estero dimentichi l’iscrizioneall’AIRE?

Per spiegare meglio cosa potrebbe succedere ti faccio un esempio di un caso che abbiamo seguito.

Mario si reca all’estero e si dimenticadi iscriversi all’AIRE.

Il Fisco gli invia un invito a comparire con cui gli chiede le tasse in Italia.

Il cittadino risulta residente fiscalmente in due Stati: in Italia in quando non ha provveduto alla cancellazione all’anagrafe e in Inghilterra dove percepisce un reddito.

Link al video

Come si procede di solito?

Il paragrafo 2 dell’articolo 4 della Convenzione Contro Doppie Imposizioni tra Italia e Regno Unitoafferma che: “Quando (…) Una persona fisica è considerata residente dientrambi gli Stato contraenti (…) Detta persona è considerata residente dello Stato contraente nel quale dispone di un’abitazione permanente“, ovvero nel quale la persona coltiva il centro degli interessi vitali.

Quando una persona fisica èconsiderata residente in entrambi gli Stati contraenti, la sua situazione puòessere determinata secondo differenti modalità.

Quanto la persona dispone di un’abitazione permanente in ciascuno degli Stati contraenti, è considerata residente nello Stato contraente centro degli interessi vitali, ovvero dove possiede relazioni sociali ed economiche.

Nel caso in cui non si può determinare lo Stato contraente nel quale detta persona ha il centro dei suoi interessi vitali e non possiede un’abitazione stabile in nessuno dei due Stati, è considerato residente dello Stato contraente in cui soggiorno abitualmente.

Esiste anche il caso in cui una persona soggiorni abitualmente in entrambi gli Stati contraenti o non soggiorni in nessuno di essi; in questa ipotesi il cittadino è considerato residente dello Stato contraente del quale ha la nazionalità.

Ultima possibilità che può verificarsi è quella in cui la persona ha la nazionalità di entrambi gli Stati contraenti o non ha la nazionalità in alcuno di questi: in tale situazione saranno le autorità degli Stati coinvolti a risolvere la questione di comune accordo.

4. E nel caso di Mario?

Sulla base della normativa convenzionale, abbiamo appurato che Mario disponeva di un’abitazione permanente in UK, centro dei suoi interessi vitali: l’Ufficio, fortunatamente, non gli ha inviato l’accertamento.

Molti imprenditori si sono rivoltia Noi per risolvere in via definitiva il loro debito fiscale.

Se anche tu hai ricevuto un avviso di accertamento e vuoi risolvere definitivamente, annullando o riducendo in modo consistente il debito tributario, contattaci compilando il form che trovi in fondo a questa pagina.

Spese di rappresentanza: la disciplina fiscale!

Prima entrare nel merito delle spese di rappresentanza e del trattamento fiscale da applicare, occorre innanzitutto descrivere di che tipologia di spesa si tratta.

QUALI TIPOLOGIE DI SPESE RAPPRESENTANO?

La disciplina è contenuta nel comma 1 dell’articolo 1 del decreto 19 novembre 2008. Tale norma individua alcune tipologie di spese di rappresentanza, quali:

  • le spese per viaggi turistici durante i quali vengono svolte attività promozionali dei beni e dei servizi oggetto dell’attività dell’impresa;
  • le spese per feste e ricevimenti organizzati nell’ambito di ricorrenze aziendali o per l’inaugurazione di nuove sedi o uffici o stabilimenti;
  • le spese per feste, ricevimenti e altri eventi per mostre o fiere durante le quali vengono svolte attività promozionali beni e i servizi dell’impresa vengono mostrati;
  • ogni altra spesa per beni e servizi distribuiti o erogati gratuitamente, ivi inclusi i contributi erogati gratuitamente per convegni, seminari e manifestazioni.

Spese di rappresentanza deducibili

La disciplina ai fini fiscali delle spese di rappresentanza è delineata nel comma 2 dell’articolo 108 del TUIR.

Sulla base di tale norma, le spese di rappresentanza sono deducibili – se hanno i requisiti di inerenza e congruità stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 19 novembre 2008 – nel periodo d’imposta di sostenimento.

In particolare, il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 19 novembre 2008, emanato in attuazione del comma 2 dell’articolo 108 del TUIR ha:

  • definito le spese di rappresentanza con un’elencazione esemplificativa;
  • ha fissato un nuovo limite di deducibilità di tali spese sulla base dei ricavi e dei proventi dell’impresa;
  • ha individuato una categoria di spese che – pur non essendo di rappresentanza – sono integralmente deducibili.

Sulla base dell’articolo 1, comma 1, del decreto 19 novembre 2008 le spese di rappresentanza sono deducibili se:

  • sono state effettivamente sostenute e documentate;
  • sono effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni;
  • il sostenimento risponde a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare anche potenzialmente benefici economici per l’impresa ovvero sia coerente con pratiche commerciali di settore.

Il requisito principale delle spese di rappresentanza, è da notare, consiste nella “gratuità” dell’erogazione di un bene o un servizio.

INTERPRETAZIONE DELLE SPESE DI RAPPRESENTANZA SECONDO L’AGENZIA DELLE ENTRATE

Tale interpretazione è condivisa dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 34/E del 13 luglio 2009. In tale circolare, l’Agenzia delle Entrate ha affermato come “il carattere essenziale delle spese di rappresentanza sia la mancanza di un corrispettivo o di una specifica controprestazione da parte dei destinatari dei beni e servizi erogati”.

Ulteriore requisito previsto dall’art. 1, comma 1, del decreto affinché le spese di rappresentanza siano inerenti è che le stesse perseguano “finalità promozionali o di pubbliche relazioni”.

Secondo l’Agenzia delle Entrate le finalità promozionali consistono nella divulgazione sul mercato dell’attività svolta, dei beni e servizi prodotti, a beneficio sia degli attuali clienti che di quelli potenziali. Le finalità di pubbliche relazioni sono perseguite attraverso tutte le iniziative volte a diffondere e/o consolidare l’immagine dell’impresa, ad accrescerne l’apprezzamento presso il pubblico, senza una diretta correlazione con i ricavi.

Ai fini della “ragionevolezza” e della “coerenza”, la spesa di rappresentanza deve risultare ragionevole in quanto idonea a generare ricavi ed adeguata rispetto all’obiettivo atteso in termini di ritorno economico; ovvero deve essere coerente con le pratiche commerciali di settore.

INCOERENZA DELLE SPESE CON LE PRATICHE COMMERCIALI: COSA SERVE IN QUESTI CASI?

In caso di assenza di pratiche commerciali di settore ovvero di incoerenza della spesa con le stesse, ai fini della deducibilità della spesa di rappresentanza è necessario dimostrarne la ragionevolezza, valutando l’idoneità della stessa a generare ricavi.

L’art. 1, comma 2, del decreto 19 novembre 2008 prevede che le spese di rappresentanza deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento, sono commisurate all’ammontare dei ricavi e proventi della gestione caratteristica dell’impresa risultanti dalla dichiarazione dei redditi relativa allo stesso periodo in misura pari:

a)     all’1,3 per cento dei ricavi e altri proventi fino a euro 10 milioni;

b)     allo 0,5 per cento dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 10 milioni e fino a 50 milioni;

c)     allo 0,1 per cento dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 50 milioni.

Il comma 2 individua un limite quantitativo entro il quale le spese di rappresentanza sono da considerare “congrue” rispetto al volume di ricavi dell’attività caratteristica dell’impresa.

L’art. 108, comma 2, prevede che “sono comunque deducibili le spese relative a beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a euro 50”.

Al riguardo, l’art. 1, comma 4, del decreto 19 novembre 2008 stabilisce che “ai fini della determinazione dell’importo deducibile di cui al comma 2, non si tiene conto delle spese relative a beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a 50 euro, deducibili per il loro intero ammontare ai sensi del terzo periodo del comma 2 del citato articolo 108 del TUIR”.

DISCIPLINA PER L’EROGAZIONE GRATUITA DEI BENI

Al fine di evitare possibili incertezze, è stato precisato che l’importo delle spese relative alla distribuzione o erogazione gratuita di beni di valore unitario non superiore a 50 euro non interferisce con l’importo deducibile in base al comma 2 dello stesso art. 1 del decreto attuativo.

Con riferimento agli omaggi composti da più beni, il valore di 50 euro deve essere riferito al valore complessivo dell’omaggio e non al valore dei singoli beni che lo compongono. Così, ad esempio, un cesto natalizio composto di tre beni diversi che hanno un valore di 20 euro ciascuno, dovrà essere considerato come un unico omaggio dal valore complessivo di 60 euro.

Al riguardo, l’Agenzia delle Entrate ha precisato, in primo luogo, che la nozione di “valore unitario” assume una rilevanza specifica in relazione ai beni c.d. autoprodotti distribuiti gratuitamente, ossia quelli alla cui produzione e/o commercializzazione sia rivolta l’attività propria dell’impresa. In altro modo, infatti, per i beni destinati ad omaggi acquistati da terzi il valore di mercato tendenzialmente coincide con il costo sostenuto.

Spese di rappresentanza: il regime IVA

L’IVA relativa alle spese di rappresentanza – come definite ai fini delle imposte sui redditi (tranne quelle sostenute per l’acquisto di beni di costo unitario non superiore a 25,82 Euro) – non è ammessa in detrazione, in base a quanto stabilito all’articolo 19-bis1, primo comma, lettera h), del D.P.R. n. 633.

Il presente articolo ha uno scopo puramente informativo e non sostituisce l’attività di un avvocato tributarista.

Se hai bisogno di maggiori chiarimenti compila il form di contatto.

Consulenza fiscale: facciamo chiarezza una volta per tutte!

Consulenza fiscale e consulenza tributaria, di che cosa si tratta? Sono la stessa cosa?

In questo articolo vi spiegheremo che cos’è la consulenza fiscale.

Prima di entrare nel merito della questione dobbiamo innanzi tutto spiegare che consulenza fiscale e consulenza tributaria sono la stessa cosa.

Si tratta di due termini differenti con cui ci si riferisce ad una consulenza in materia di fiscalità e tributi (più comunemente chiamati imposte).

1. Consulenza fiscale cos’è?

La cosa importante, quando acquisti un servizio di consulenza tributaria è innanzitutto capire cosa ti serve.

Che tipo di azienda hai? Hai una ditta individuale, una società di persone oppure una società di capitali?

Produci beni o rendi servizi?

Che fatturato ha la tua azienda?

In che tipo di businness è specializzata la tua azienda?

La tua azienda opera nel mercato internazionale?

Hai in azienda del personale dedicato agli adempimenti fiscali e tributari?

Facciamo queste domande perché il consulente tributario (dottore commercialista o avvocato tributaristadeve essere scelto sulla base di tutta una serie di considerazioni e di specificità: scegliere i consulenti fiscali non è semplice!

Se, ad esempio, la tua azienda opera prevalentemente nel mercato nazionale ed ha un fatturato non molto elevato, dovrai scegliere un consulente a 360 gradi che segua la tua azienda sia sotto l’aspetto degli adempimenti dichiarativi sia sotto l’aspetto più della consulenza fiscale e tributaria.

Se, invece, hai più società – con un fatturato importante che magari operano nel mercato internazionale e che effettuano esportazioni in tutto il mondo – hai probabilmente bisogno di un consulente fiscale o di un avvocato tributarista che sia maggiormente specializzato in materia di IVA e dogane.

Fatta questa precisazione, ti spieghiamo adesso quanti tipi di consulenza tributaria esistono.

2. Consulenza amministrativa fiscale e tributaria a carattere continuativo

La consulenza fiscale e tributaria a carattere continuativo riguarda principalmente gli adempimenti di natura contabile e fiscale (dichiarazione dei redditi, dichiarazione IVA, fatturazione elettronica, etc). Si tratta della tipologia di consulenza più diffusa in Italia, il cui tessuto imprenditoriale è prevalentemente costituito da PMI.

Questo tipo di consulenza, correlata all’attività di chiusura dei bilanci, è svolta dal dottore commercialista.

Vi è una seconda tipologia di consulenza fiscale a carattere continuativo – la cosiddetta consulenza day by day – necessaria a quelle società che hanno già del personale in azienda che cura gli adempimenti fiscali. Questo tipo di consulenza ha l’obiettivo di dare supporto al personale in azienda dedicato agli adempimenti di carattere fiscale.

Il consulente fiscale cosa fa?

Il consulente fiscale – avvocato tributarista o dottore commercialista – aiuta le aziende a trovare la migliore soluzione sotto il profilo fiscale e tributario.

3. Consulenza fiscale straordinaria

La consulenza tributaria a carattere straordinario è, invece, un tipo di consulenza di cui non si ha bisogno in via continuativa ma soltanto in determinati momenti durante la vita dell’impresa. Vediamo di cosa si tratta.

  • Consulenza nel contenzioso tributario: è un tipo di assistenza e di consulenza – svolta da avvocati fiscalisti e dottori commercialisti – necessaria quando l’Agenzia delle Entrate ti notifica un avviso di accertamento, chiedendoti maggiori imposte, sanzioni e interessi.
  • Consulenza nella fase delle verifiche fiscali: è un tipo di consulenza fiscale e tributaria di cui si ha bisogno quando l’Amministrazione Finanziaria o la Guardia di Finanza effettuano una verifica fiscale in azienda.
  • Consulenza in materia di M&A e riorganizzazioni societarie: è un tipo di consulenza tributaria volta alla pianificazione e alla realizzazione di operazioni di riorganizzazione societaria nazionali e transfrontaliere quali fusioni, scissioni, acquisizioni, trasferimenti di residenza ed altre operazioni straordinarie.
  • Consulenza fiscale internazionale: è un tipo di consulenza di cui hanno bisogno imprese molto strutturate, e con fatturati molto importanti, che operano nel mercato internazionale attraverso delle stabili organizzazioni per operare una corretta pianificazione fiscale internazionale.

4. Conclusioni

Abbiamo cercato di spiegare in poche parole cos’è la consulenza fiscale e tributaria.

Si tratta di una suddivisione davvero molto semplicistica, ma che già può dare un’idea di base da cui partire per scegliere il giusto consulente.

La verità è che per ogni esigenza ogni studio legale tributario ha la sua specificità: le consulenze fiscali vanno quindi scelte con cura.

Il presente articolo ha uno scopo puramente informativo e divulgativo.

Le considerazioni in esso espresse non necessariamente si rendono applicabili al tuo caso concreto.

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La residenza fiscale delle persone fisiche

Residenza fiscale e domicilio, iscrizione AIRE e trasferimento in Stati a fiscalità privilegiata!

Se hai la residenza fiscale all’estero oppure hai intenzione di rientrare in Italia usufruendo delle agevolazioni fiscali previste per il rientro dei cervelli, ti consigliamo di leggere questo articolo.

1. Normativa residenza fiscale delle persone fisiche

Il concetto di residenza fiscale delle persone fisiche è disciplinato dall’articolo 2, comma 2, del TUIR. La disciplina è poi contenuta:

  • nella legge 24 dicembre 1954, n. 1228 e nel D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, per quanto riguarda l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente, e
  • nella legge 27 ottobre 1988, n. 470 e nel D.P.R. 6 settembre 1989, n. 323, per quanto riguarda poi la disciplina dell’iscrizione all’anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE).

2. Residenza fiscale definizione

La prima cosa che occorre evidenziare è che la definizione di residenza fiscale delle persone fisiche è più ampia rispetto alla nozione di residenza civilistica.

La residenza ai sensi del codice civile rappresenta solo una delle tre ipotesi sulla base delle quali una persona fisica è considerata fiscalmente residente in Italia.

Sono infatti fiscalmente residenti in Italia le persone che per la maggior parte del periodo di imposta:

  • sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente;
  • hanno il domicilio ai sensi del codice civile nel territorio dello Stato;
  • hanno la residenza ai sensi del codice civile nel territorio dello Stato.

Le tre casistiche sono alternative tra di loro, questo significa che una persona fisica ha la residenza fiscale in Italia se si trova anche in una sola di esse.

Cosa succede se una persona fisica ha la residenza fiscale in Italia? In tal caso, il residente fiscale sarà tassato in Italia ai fini delle imposte sui redditi ovunque prodotti (sia in Italia che all’estero).

3. L’iscrizione all’Anagrafe della popolazione residente

Il primo criterio utile per individuare la residenza ai fini fiscali in Italia di una persona fisica è rappresentato dal requisito dell’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente.

Per iscriversi all’anagrafe è necessario:

  • avere la propria dimora abituale in un Comune situato nel territorio dello Stato italiano;
  • aver stabilito in un Comune italiano il proprio domicilio.

L’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni, ovvero 184 in caso di anni bisestili) – a seguito di elezione di domicilio o di residenza – comporta la residenza fiscale in Italia (cfr. la sentenza della Corte di Cassazione n. 21970 del 28 ottobre 2015).

Va evidenziato che le persone che hanno una dimora all’estero in via temporanea (lavori stagionali o per ragioni di tempo limitate) non cessano di appartenere alla popolazione residente.

4. Trasferimento della residenza fiscale all’estero

Il trasferimento della residenza fiscale all’estero di una persona fisica è subordinato all’applicazione sia della disciplina in materia di anagrafe sia della disciplina in materia di AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero). Tale disciplina non si applica se il soggetto:

  • va all’estero per cause di durata limitata non superiore a dodici mesi;
  • va all’estero per un’occupazione stagionale;
  • è un dipendente di ruolo dello Stato in servizio all’estero, secondo i criteri delle Convenzioni di Vienna sulle relazioni diplomatiche.

Negli altri casi, i soggetti – iscritti all’anagrafe della popolazione residente – che vogliano trasferire la residenza fiscale all’estero devono darne notizia al Comune italiano in cui si è avuta l’ultima residenza.

La cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente – con relativa iscrizione all’AIRE per un periodo superiore a 183 giorni (184 in caso di anno bisestile) – non è infatti sufficiente ad escludere che un soggetto sia fiscalmente residente in Italia.

Occorre infatti verificare se (nonostante l’iscrizione all’AIRE) il soggetto abbia comunque mantenuto in un determinato luogo in Italia la propria dimora abituale ovvero il centro principale dei propri affari o interessi. Tali elementi possono essere infatti desunti con mezzi di prova anche in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici. L’accertamento della qualità di soggetto fiscalmente residente in Italia si desume da una valutazione complessiva degli atti o fatti riferibili al soggetto come:

  • l’assunzione di cariche societarie;
  • la partecipazione a riunioni d’affari;
  • l’iscrizione a circoli;
  • i legami familiari e affettivi;
  • gli interessi economici;
  • l’intenzione a far rientrare in Italia proventi conseguiti all’estero;
  • l’intenzione di abitare in Italia, desunta da atti o fatti concludenti, comprese le pubbliche dichiarazioni.

Al riguardo, è importante notare che il contribuente – qualora abbia trasferito la residenza fiscale all’estero – ha comunque la possibilità di richiedere a tale stato il certificato di residenza fiscale, al fine di dimostrare l’effettiva permanenza al di fuori dello Stato italiano.

5. La differenza tra residenza e domicilio ai fini fiscali

La differenza tra residenza e domicilio fiscale è di particolare importanza perché consente di valutare quando:

  • un soggetto anagraficamente non residente in Italia lo è invece dal punto di vista fiscale;
  • un cittadino italiano iscritto all’AIRE può essere considerato un soggetto fiscalmente residente in uno Stato estero.

La residenza è il luogo in cui la persona ha la dimora abituale. Ciò che occorre verificare non è solo l’elemento obiettivo della permanenza del soggetto in tale luogo, ma anche l’intenzione di abitarvi stabilmente, il che si desume desumibile dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle relazioni sociali.

Il domicilio è il luogo in cui un determinato soggetto ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi. La corretta individuazione del domicilio fiscale non dipende dalla presenza fisica di un determinato soggetto ma richiede una valutazione di una serie di elementi di natura patrimoniale, economica, e familiare.

Si tratta di un concetto molto ampio che necessita di un corretto bilanciamento, sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo, fra la rilevanza dei diversi luoghi in cui sono dislocati gli interessi economici, professionali e familiari di un determinato soggetto.

Domicilio fiscale e residenza fiscale sono, quindi, due concetti diversi ma che servono ad identificare quando una persona fisica può considerarsi fiscalmente residente in Italia e quindi un soggetto passivo.

6. Presunzione di residenza fiscale in Italia e inversione dell’onere della prova

Al fine di contrastare l’evasione fiscale – attuata da una persona fisica mediante lo strumentale trasferimento della residenza fiscale in altri paesi – l’articolo 2 del TUIR, il comma 2-bis impone ai cittadini italiani cancellati dall’anagrafe della popolazione residente trasferitisi in Stati aventi un regime fiscale agevolato l’onere di dimostrare di non essere più fiscalmente residenti in Italia.

L’Agenzia delle Entrate può quindi notificare a una persona fisica un avviso di accertamento e contestare il trasferimento della residenza in un Paese estero a fiscalità privilegiata, senza dover dimostrare alcunché: è il contribuente che deve dare dimostrazione che il trasferimento nello Stato estero avente un regime fiscale privilegiato non è avvenuto per ragioni di natura di risparmio fiscale.

Per individuare i Paesi o territori aventi un regime fiscale privilegiato occorre visionare il decreto ministeriale 4 maggio 1999 è stato stilato e condiviso che contiene l’elenco dei “paradisi fiscali” (c.d. “Paesi Black list”).

Il presente articolo ha uno scopo puramente informativo e divulgativo.

Le considerazioni in esso espresse non necessariamente si rendono applicabili al tuo caso concreto.

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