STABILE ORGANIZZAZIONE: COSA PUOI RISCHIARE?

Hai una stabile organizzazione, ovvero un’impresa con sede all’estero ma la tua attività si svolge principalmente nel nostro paese?

Negli ultimi anni sono molti gli imprenditori che hanno delocalizzato la loro attività all’estero per migliorare il carico fiscale sulle loro aziende. Se si ha una stabile organizzazione, quindi, bisogna stare attenti a dichiarare i redditi per non avere problemi con il Fisco.

CHE COSA SUCCEDE SE L’IMPRESA ESTERA SVOLGE IN ITALIA L’ATTIVITÀ E NON DICHIARA I REDDITI PRODOTTI?

Se l’impresa estera svolge in Italia l’attività e non dichiara i redditi prodotti va incontro a conseguenze da non sottovalutare.

Questo fenomeno si definisce stabile organizzazione ed è una situazione molto frequente che può comportare una contestazione con avviso di accertamento da parte di Agenzia delle Entrate.

QUANDO PUÒ CONFIGURARSI?

Quando l’impresa estera ha una sede stabile di affari o mediante persone che agiscono per conto dell’impresa. La sede fissa di affari della società estera può essere:

una sede di direzione; una succursale;

un ufficio; un’officina;

un laboratorio

una miniera, un giacimento petrolifero o di gas naturale, una cava o altro luogo di estrazione di risorse naturali.

La presenza economica della sede di affari collegata all’impresa non residente deve essere significativa e continuativa.

Anche le attività svolte in Italia in ambito di economia digitale da società estere integrano, dunque, una stabile organizzazione e sono soggette al nostro regime fiscale.

STABILE ORGANIZZAZIONE PERSONALE

La presenza economica di una impresa non residente nel nostro Stato può realizzarsi anche attraverso una stabile organizzazione personale.

In questo caso l’impresa estera conclude affari per mezzo di una persona fisica che agisce in nome e per conto dell’impresa, anche in assenza di una struttura materiale.

Si è in presenza di tale caso quando una persona fisica agisce nel territorio di uno Stato per conto dell’impresa non residente, concludendo contratti o negoziando, potendosi quindi considerare un agente dipendente.

Si tratta, in particolare, di contratti:

stipulati dalla persona fisica in nome dell’impresa;

che riguardano il trasferimento della proprietà o la concessione del diritto di utilizzo di beni di tale impresa o che l’impresa ha il diritto di utilizzare; che sono relativi alla fornitura di servizi da parte dell’impresa.

Il tema della stabile organizzazione è complesso e abbraccia la disciplina fiscale dei diversi stati in cui risiedono l’impresa madre e la sua sede di affari all’estero.

La conoscenza degli elementi tipici di questo istituto è necessaria per comprendere se si sta operando attraverso una stabile organizzazione e quali sono gli adempimenti fiscali da osservare

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AIRE, MANCATA ISCRIZIONE: COSA SUCCEDE?

Prima di tutto è bene capire cosa significa AIRE e chi è fiscalmente residente in Italia.

Sono fiscalmente residenti in Italia le persone che per la maggior parte del periodo di imposta:

Sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente.

Hanno il domicilio ai sensi del codice civile nel territorio dello Stato Hanno la residenza ai sensi del codice civile nel territorio dello Stato.

Le tre casistiche sono alternative tra di loro, questo significa che una persona fisica ha la residenza fiscale in Italia se si trova anche in una sola di esse.

COSA SUCCEDE SE UNA PERSONA SI TRASFERISCE ALL’ESTERO DIMENTICANDOSI DI ISCRIVERSI ALL’ AIRE?

AIRE: per il Fisco italiano sei sempre residente in Italia e devi pagare le tasse in Italia.Questo è quello che è capitato a Giuseppe, che essendosi trasferito all’estero, si era dimenticato di iscriversi Anagrafe degli Italiana residenti all’estero.

Il Fisco gli ha inviato un invito a comparire con cui gli chiedeva di pagare le tasse in Italia. Lui, però, risultava residente fiscalmente in due stati: in Italia e in Inghilterra dove percepiva il reddito. Per risolvere con l’Ufficio questo problema abbiamo fatto riferimento al par. 2 dell’art. 4 della Convenzione contro la doppia imposizione tra Italia e Regno Unito.

Questa norma chiarisce che “quando … una persona fisica è considerata residente di entrambi gli Stati contraenti … detta persona è considerata residente dello Stato contraente nel quale dispone di un’abitazione permanente” ovvero di quello “nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (centro degli interessi vitali)”.

TIE-BREAKER RULES

La stessa introduce una serie di regole, le cosiddette tie-breaker rules, volte ad individuare il Paese di residenza del percettore del reddito. In particolare, ai sensi della disposizione appena citata, quando una persona fisica è considerata residente di entrambi gli Stati contraenti, la sua situazione è determinata nel seguente modo:

  1. Detta persona ha un’abitazione stabile in ciascuno degli Stati contraenti ed è considerata residente dello Stato contraente dove le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (centro degli interessi vitali).
  2. Se non si può determinare lo Stato contraente nel quale detta persona ha il centro dei suoi interessi vitali, o se la medesima non ha un’abitazione permanente in alcuno degli Stati contraenti, essa è considerata residente dello Stato contraente in cui soggiorna abitualmente.
  3. Se detta persona soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati contraenti, ovvero non soggiorna abitualmente in alcuno di essi, essa è considerata residente dello Stato contraente del quale ha la nazionalità.
  4. Se detta persona ha la nazionalità di entrambi gli Stati contraenti, o se non ha la nazionalità di alcuno di essi, le autorità competenti degli Stati contraenti risolvono la questione di comune accordo.

RISOLUZIONE DEL CASO

Ebbene, nel 2015 Giuseppe risultava residente nel Regno Unito sulla base di tale disposizione convenzionale, in quanto disponeva solo in tale Stato di una abitazione permanente ed aveva ivi ubicato il proprio centro degli interessi vitali.

Per quanto riguarda il primo aspetto, infatti, egli aveva acquisito in locazione un appartamento nel Regno Unito, e per quanto riguarda il secondo aspetto, egli viveva nel Regno Unito, proprio nel predetto appartamento, con la compagna ha poi contratto matrimonio, prestando la propria attività di lavoro presso la società Blackberry UK Limited nella città di Slough, nella contea di Berkshire.

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Reati tributari: come si dividono!

I reati tributari si dividono in reati in cui conta l’importo evaso e reati in cui non rileva!

È importante sapere che da una verifica fiscale – contestata mediante la notifica di un avviso di accertamento – possono scaturire dei reati tributari, se la violazione ha una rilevanza penale.

1. Reati tributari: come si dividono?

reati tributari possono essere classificati in due categorie:

  • reati fiscali che si configurano a prescindere dall’importo evaso sottratto a tassazione;
  • reati fiscali che si configurano in base all’importo evaso sottratto a tassazione.

2. Reati tributari che si configurano a prescindere dall’importo evaso

A questa categoria di reati tributari appartengono i reati tributari qui elencati. Vediamo quali sono le pene.

Reato tributario di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture inesistenti. La pena – prevista dall’articolo 2 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 –  per questo reato è la reclusione da quattro a otto anni. Se l’importo evaso è inferiore a centomila euro, la reclusione – sulla base del comma 2-bis dell’articolo 2 – varia da un anno e sei mesi a sei anni.

Reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. La pena – prevista dall’articolo 8 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 – per questo reato è la reclusione da quattro a otto anni. Se l’importo evaso è inferiore a centomila euro, la reclusione – sulla base del comma 2-bis dell’articolo 8 – varia da un anno e sei mesi a sei anni.

Reato fiscale di occultamento o distruzione di documenti contabili. La pena – prevista dall’articolo 10 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 – per questo reato è la reclusione da tre a sette anni.

Reato di omesso versamento di ritenute certificate. La pena – prevista dall’articolo 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 – per questo reato è la reclusione da sei mesi a due anni.

3. Reati tributari che si configurano sulla base dell’importo evaso

Alla seconda categoria appartengono i reati fiscali qui di seguito indicati.

Reato tributario di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. La pena – prevista dall’articolo 3 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 – per questo reato è la reclusione da tre a otto anni.

Reato di dichiarazione infedele. La pena – prevista dall’articolo 4 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 – per questo reato è la reclusione da due anni a quattro anni e sei mesi.

Reato fiscale di omessa dichiarazione. La pena – prevista dall’articolo 5 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 – per questo reato è la reclusione da due a cinque anni.

Reato di omesso versamento dell’IVA. La pena – prevista dall’articolo 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 – per questo reato è la reclusione da sei mesi a due anni.

Reato tributario di indebita compensazione. La pena – prevista dall’articolo 10-quater del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 – per questo reato è la reclusione da sei mesi a due anni nelle ipotesi di crediti non spettanti e da un anno e sei mesi a sei anni nelle ipotesi di crediti inesistenti.

Reato fiscale di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. La pena – prevista dall’articolo 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 – per questo reato è la reclusione da sei mesi a quattro anni. Se l’ammontare complessivo delle imposte evase è superiore a duecentomila euro si applica la reclusione da uno a sei anni (cfr. l’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74).

4. Reati tributari quali sono i più importanti?

Alla luce di quanto sopra descritto è evidente come sia assolutamente necessario prestare maggiore attenzione ai reati fiscali che si configurano a prescindere dall’importo evaso. I più frequenti, sotto questo profilo, sono i reati di emissione e utilizzo di fatture false.

Il presente articolo ha uno scopo puramente informativo e non sostituisce l’attività di un avvocato tributarista.

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Occultamento o distruzione di documenti contabili: il reato

Occultamento o distruzione di documenti contabili: un reato punito con la reclusione da 3 a 7 anni!

L’occultamento o distruzione di documenti contabili configura un reato tributario commesso dal contribuente per impedire all’Agenzia delle Entrate o alla Guardia di Finanza la ricostruzione dei redditi e del proprio volume di affari nell’ambito di un controlli fiscale o di una verifica fiscale, al fine di evadere le relative imposte.

La Corte di Cassazione, sez. 3 penale, nella recente sentenza n. 11123 del 2021 ha evidenziato che è possibile desumere il reato tributario in esame qualora a seguito di attività di accertamento fiscale emergano elementi che dimostrino l’occultamento o la distruzione di documenti contabili.

Nel caso esaminato dalla Corte, in particolare, le fatture non rinvenute presso la ditta committente, accusata del reato, erano state trovate presso i destinatari delle fatture stesse. Considerato che le fatture sono emesse in doppio esemplare, il mancato ritrovamento dell’altro esemplare presso il soggetto che ha emesso la fattura fa desumere il suo occultamento o la sua distruzione.

1. Occultamento o distruzione di documenti contabili: reato e sanzione penale

Il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili è disciplinato dall’art. 10 del d.lgs. n. 74 del 2000 e sanziona penalmente chiunque occulta o distruggein tutto o in partele scritture contabili o i documenti che è obbligatorio conservare, per non versare le imposte sui redditi o sull’IVA.

La fattispecie delittuosa contempla e punisce anche l’ipotesi in cui il soggetto agisce al fine di consentire l’evasione fiscale a terzi.

Il soggetto che commette il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili è punito con la pena della reclusione da 3 a 7 anni, salvo che il fatto non costituisca un reato più grave.

È importante evidenziare come il reato in esame non preveda una soglia di punibilità riferita all’ammontare dell’imposta evasa!

Scopo della norma è, dunque, garantire al Fisco la piena e corretta conoscenza della situazione dei contribuenti, affinché questi ultimi paghino le imposte dovute.

Il reato relativo all’occultamento o alla distruzione di documenti contabili differisce dalla omessa tenuta delle scritture contabili disciplinata dall’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997, che è una violazione soggetta alla sanzione amministrativa da euro 1.000 ad euro 8.000.

Per configurare il reato tributario in esame, al contrario, non è sufficiente un comportamento omissivo del contribuente, come chiarito anche dalla Cassazione, sez. 3 penale, nella sentenza n. 11464 del 2019, essendo necessaria la commissione dell’occultamento o della distruzione dei documenti.

2. Occultamento o distruzione di documenti contabili e consumazione del reato

La fattispecie delittuosa in esame prevede, a ben vedere, due diverse azioni : l’occultamento o la distruzione di documenti contabili, in modo da non consentire all’Amministrazione Finanziaria la ricostruzione del reddito imponibile dell’impresa.

Diverso è, quindi, il momento di consumazione del reato nelle due differenti ipotesi.

Nel caso in cui il contribuente nasconda i documenti contabili o non li esibisce in sede di accertamento fiscale, il reato ha natura permanente in quanto la condotta delittuosa dura sino al momento della verifica del Fisco.

La Corte di Cassazione, sez. 3 penale, nella sentenza n. 13734 del 2019 ha ribadito, in proposito, che l’occultamento consiste nella temporanea o definitiva indisponibilità dei documenti contabili da parte degli organi che svolgono l’accertamento.

Se, invece, il contribuente distrugge i documenti contabili il reato è istantaneo e si consuma al momento dell’eliminazione della documentazione, che può essere realizzata anche rendendo la stessa illeggibile mediante cancellature.

Questa distinzione rileva ai fini del momento dal quale decorre la prescrizione del reato. In caso di occultamento, infatti, la prescrizione inizia a decorrere solo a partire dalla data dell’accertamento fiscale.

A tal proposito la Corte di Cassazione, sez. 3 penale, nella sentenza n. 30683 del 2018, ha chiarito che l’imputato che intende avvalersi del termine di prescrizione connesso alla distruzione della documentazione, deve dimostrare che i documenti contabili sono stati distrutti, e non semplicemente occultati, e il periodo di distruzione.

3. Occultamento o distruzione di documenti contabili e reato di bancarotta fraudolenta documentale

Il reato in esame è diverso dal reato di bancarotta fraudolenta documentale previsto all’art. 216 del R.D. 267/1942 (Legge Fallimentare), come chiarito dalla Corte di Cassazione, sez. 5 penale, nella sentenza n. 22486 del 2020.

I giudici di legittimità hanno evidenziato che, pur potendo avere ad oggetto entrambi i reati la distruzione o l’occultamento delle stesse scritture contabili, il bene giuridico offeso e il fine delittuoso è diverso, realizzandosi, pertanto, un concorso formale di reati.

In particolare, a differenza del reato tributario, nella bancarotta fraudolenta documentale il fallito agisce in pregiudizio dei creditori o per ottenere un profitto ingiusto.

4. Occultamento o distruzione di documenti contabili e possibilità di ricostruire il risultato economico

Il reato tributario in esame non si configura qualora il contribuente sia in grado di ricostruire il proprio reddito e il volume d’affari, nonostante non sia in possesso della documentazione obbligatoria.

È quanto ha stabilito la Cassazione, sez. 3 penale, nella sentenza n. 22126 del 2017 in riferimento ad un imprenditore che aveva subito una verifica fiscale dalla quale era emersa l’assenza di poche fatture, ciononostante era possibile ricostruire il reddito tramite la documentazione conservata dall’imprenditore stesso.

Il presente articolo ha uno scopo puramente informativo e non sostituisce una consulenza fiscale di un avvocato tributarista.

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Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici

Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici: il reato e il concorso del professionista!

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici è disciplinato dall’art. 3 del d.lgs. n. 74 del 2000. Si tratta di un reato tributario attraverso il quale il contribuente maschera nella dichiarazione fiscale la propria reale situazione al fine di evadere le imposte sui redditi (IRES e IRAP) e IVA. 

1. Dichiarazione fraudolenta realizzata mediante altri artifici: quando si configura il reato?

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici – disciplinato come detto dall’art.3 del d.lgs. n. 74 del 2000 – è un reato caratterizzato da due fasi.

La prima fase consiste nella realizzazione di un’attività preparatoria a porre in essere l’attività ingannatoria prodromica. La seconda fase consiste nella presentazione di una dichiarazione dei redditi mendace.

Il reato si configura quando il contribuente indica nella dichiarazione dei redditi o IVA elementi attivi per un importo inferiore a quello effettivo o elementi passivi, crediti e ritenute fittizi, ricorrendo contemporaneamente le seguenti condizioni:

  • l’imposta evasa è superiore ad euro 30.000;
  • il complesso degli elementi attivi sottratti a tassazione è superiore al 5 percento del complesso degli elementi indicati nella dichiarazione dei redditi (o IVA) o comunque è superiore a euro 1.500.000, ovvero qualora l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie risulti superiore al 5%dell’imposta complessiva o comunque a euro 30.000,00.

È necessario precisare che non si considerano mezzi fraudolenti la violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o l’indicazione in fattura di elementi attivi inferiori a quelli reali.

È opportuno evidenziare, inoltre, chela fattispecie in esame è diversa dalla dichiarazione fraudolenta realizzata mediante l’utilizzo di fatture o altri documenti relativi ad operazioni inesistenti, specificamente disciplinata all’art. 2 del d.lgs. 74/2000, che si caratterizza per un’inesistenza dell’operazione economica sottostante alla fattura.

2. Dichiarazione fraudolenta realizzata mediante altri artifici: la pena e la prescrizione del reato

Il delitto di dichiarazione fraudolenta realizzata mediante altri artifici si consuma nel momento in cui il contribuente presenta la dichiarazione. È importante evidenziare che in caso di condanna definitiva, è prevista una pena detentiva che varia da tre a otto anni.

Se l’imposta evasa supera i 100.000euro è prevista, inoltre, l’applicazione della cosiddetta confisca allargata disciplinata all’art. 240-bis del codice penale. Ciò significa che possono essere confiscati al condannato i beni di cui non può dimostrare la provenienza e di valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica esercitata.

Dalla presentazione della dichiarazione mendace comincia a decorrere il termine di prescrizione che è di 10 anni e 8 mesi. In caso di atti interruttivi della prescrizione il termine, invece, è di 13 anni e 4 mesi.

3. Dichiarazione fraudolenta realizzata mediante altri artifici: condotta delittuosa e soggetti attivi del reato

La dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici è un reato fiscale dichiarativo in cui rileva l’intenzionalità e la volontà del soggetto di presentare una dichiarazione falsa al fine di evadere le imposte e di ostacolare l’accertamento fiscale. L’evasione si ha anche se il soggetto agisce per conseguire un indebito rimborso o per il riconoscimento di un credito d’imposta inesistente.

In merito all’intenzionalità della fattispecie delittuosa, la Corte di Cassazione, nella sentenza 21895 del 2017, ha escluso la configurabilità del reato nel caso di una società di leasing che aveva emesso fatture non imponibili ai fini Iva relative al pagamento dei canoni di un’imbarcazione. Dette fatture erano state riportate in dichiarazione in modo corrispondente alle scritture contabili. I giudici di legittimità hanno evidenziato che, nonostante l’uso improprio del regime di non imponibilità IVA previsto all’art. 8 bis del D.P.R. 633 del 1972, mancava nel caso di specie l’intento di ostacolare l’accertamento fiscale che integra il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici.

È opportuno ricordare che la riforma operata con il D.lgs. 158 del 2015 ha ampliato la platea dei possibili autori del reato tributario in esame, in quanto quest’ultimo può essere commesso anche da chi non è tenuto alle scritture contabili obbligatorie.

Soggetto attivo del reato è, inoltre, anche l’amministratore, il liquidatore o il rappresentante di una società che presenta la dichiarazione mendace al fine di evadere le imposte dovute dalla società medesima.

4. Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici: il concorso del professionista nel reato  

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici può essere realizzato anche in concorso con il professionista al quale il contribuente ha delegato i propri adempimenti fiscali.

In particolare, la Cassazione nella sentenza 19672 del 2019 ha chiarito che integra la fattispecie delittuosa in esame la condotta del professionista che rilascia un visto di conformità mendace o una certificazione tributaria infedele.

Si tratta, infatti, secondo la Suprema Corte di mezzi fraudolenti idonei a sviare l’attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, inducendola in errore.

Sempre secondo i giudici di legittimità nel caso in esame il reato tributario concorre con lo specifico reato previsto dall’art. 39 d.lgs. 241 del 1997.

5. Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici: cause di esclusione da responsabilità penale

La dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici non è punibile a titolo di tentativo secondo quanto previsto dall’art. 6 della Legge sui reati tributari: il soggetto può essere sanzionato penalmente solo laddove presenta la dichiarazione mendace.

La fattispecie in esame, però, è punibile anche se il delitto è solo “tentato” qualora le operazioni siano compiute anche in un altro Stato membro dell’Unione Europea allo scopo di evadere l’IVA per un importo totale non inferiore a 10 milioni di euro.

È importante evidenziare che a seguito delle modifiche intervenute con il Decreto fiscale 2020 (D.L.124 del 2019) è prevista la non punibilità della fattispecie in esame se il contribuente salda il proprio debito attraverso il ravvedimento operoso.

La punibilità del soggetto che ha commesso il reato in esame è esclusa, inoltre, anche in caso di “collaborazione volontaria” ai sensi del D.L. n. 167 del 1990.

6. Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e responsabilità ex d.lgs. 231/2001.

Se il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici è commessa da un ente è prevista la responsabilità amministrativa dello stesso ai sensi del d.lgs. 231 del 2001.

La responsabilità amministrativa dell’ente per il reato tributario si configura, però, solo se il delitto può effettivamente essere attribuito all’ente: si verifica tale caso quando il reato è stato, ad esempio, compiuto da un soggetto che fa parte dello stesso ente e che ha agito nell’interesse o a vantaggio di quest’ultimo.

L’art. 5 del suddetto decreto stabilisce, a tal proposito, che l’ente è responsabile per i reati commessi da persone che hanno funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa, di gestione e controllo, o da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di tali soggetti.

È esclusa, invece, la responsabilità dell’ente qualora le persone che vi operano abbiano commesso la fattispecie delittuosa per ottenere un interesse personale, svincolato da quello dell’ente.

La sanzione prevista per l’ente in caso di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici è di carattere pecuniario e può giungere fino a 500 quote. Il valore monetario riferito ad ogni singola quota è stabilito dal Giudice.

Possono essere comminate, inoltre, sanzioni a carattere interdittivo per l’ente. In particolare:

  • interdizione dall’esercizio dell’attività;
  • divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione, salvo che per ottenere la prestazione di un pubblico servizio;
  • esclusione dalla concessione di autorizzazioni, licenze, contributi, agevolazioni, finanziamenti e revoca di quanto già ottenuto.
  • divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Spetta dunque all’ente dotarsi di un efficace modello di organizzazione, gestione e controllo ex d. lgs. n. 231 del 2001, per evitare di incorrere in fattispecie di responsabilità amministrativa derivante da reato e nelle gravi sanzioni correlate.

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Omessa dichiarazione dei redditi: sanzioni e prescrizione!

Omessa dichiarazione dei redditi: le sanzioni, la prescrizione del reato e termini di accertamento!

I soggetti passivi di imposta devono presentare la dichiarazione dei redditi nel rispetto di determinate scadenze, configurandosi in assenza di tale adempimento un caso di omessa dichiarazione dei redditi.

Come vedremo, l’omessa dichiarazione costituisce una fattispecie che comporta l’applicazione di sanzioni amministrative e in alcuni casi di sanzioni penali ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000.

1. Mancata presentazione dichiarazione dei redditi: sanzioni amministrative

Le sanzioni amministrative previste nei casi di omessa dichiarazione variano dal 120 al 240 per cento (art. 1 comma 1 del decreto legislativo n. 471 del 1997).

Qualora tale violazione venga posta in essere per più anni di imposta, la sanzione verrà determinata sulla base delle regole previste nell’articolo 12 del dlgs n. 472 del 1997.

2. Quando si configura il reato?

Il reato di omessa dichiarazione si configura quanto il contribuente – persona fisica o società – a seguito della mancata presentazione della dichiarazione dei redditi evade imposte per un importo superiore a 50.000,00 euro.

La Corte di Cassazione ha stabilito nella sentenza n. 36491/2019 che il giudice, per determinare il superamento della soglia che fa scattare il reato tributario, può legittimamente fondare il proprio convincimento sull’accertamento fiscale operato dall’Amministrazione finanziaria, a condizione che proceda ad un’autonoma valutazione degli elementi confrontandoli con altri eventualmente acquisiti.

L’art. 5 del d.lgs. 74 2000 prevede in tal caso l’applicazione di una pena detentiva che varia dai 2 a 5 anni. Alla medesima pena detentiva soggiace anche il sostituto di imposta che, essendo obbligato alla presentazione della dichiarazione dei sostituti di imposta, non vi provvede.

È importante notare che non si è in presenza di omessa dichiarazione dei redditi se la dichiarazione:

  • è presentata entro 90 giorni dalla scadenza del termine;
  • non è stata sottoscritta;
  • non è redatta su uno stampato conforme al modello prestabilito.

3. Omessa dichiarazione: un reato con dolo specifico

Il reato di omessa dichiarazione dei redditi è un reato omissivo proprio a dolo specifico.

Ciò significa che tale reato si configura quando all’omissione concernente il mancato invio della dichiarazione si associa l’intenzione di evadere le imposte.

A tal proposito significativa è la sentenza della Corte di Cassazione n. 16469 del 29 maggio 2020 che ha chiarito che anche se il contribuente si affida ad un professionista per l’invio della dichiarazione, la responsabilità per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi ricade comunque sul contribuente se questi ha agito consapevolmente allo scopo di evadere le imposte.

Il contribuente è sempre tenuto a controllare che il commercialista adempia correttamente agli obblighi dichiarativi. Nella fattispecie in esame, però, non vi erano elementi riconducibili ad una responsabilità del professionista per l’omessa dichiarazione.

La Suprema Corte ha evidenziato che la prova del dolo specifico non è dimostrata dalla semplice violazione dell’obbligo dichiarativo o dalla mancata vigilanza sull’operato del professionista, bensì dalla sussistenza di elementi di fatto che provano la volontà del contribuente di commettere l’evasione fiscale.

Il reato di omessa dichiarazione prevede anche una serie di pene accessorie elencate all’art.12 del dlgs. n. 74 del 2000.

È importante notare che al reato di omessa dichiarazione non si applica l’istituto della sospensione condizionale della pena se ricorrono contemporaneamente le seguenti condizioni:

  • l’ammontare dell’imposta evasa è superiore al 30 per cento del volume d’affari;
  • l’ammontare dell’imposta evasa è superiore a tre milioni di euro.

4. Come risolvere con il ravvedimento operoso

Non si configura sotto il profilo penale il reato di omessa dichiarazione se il contribuente paga integralmente il debito tributario, comprese sanzioni e interessi (art. 13 del D. Lgs. n. 74/2000).

Il pagamento delle imposte può essere effettuato attraverso il ravvedimento operoso del contribuente oppure inviando la dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo.

Il ravvedimento operoso, in particolare, permette al contribuente di regolarizzare la propria posizione, pagando i versamenti omessi e beneficiando di una riduzione delle sanzioni previste.

Il contribuente, però, deve provvedere al ravvedimento o alla presentazione della dichiarazione prima di essere venuto a conoscenza di attività di accertamento o dell’avvio del procedimento penale.

È concessa, inoltre, la possibilità al contribuente di estinguere il proprio debito nei confronti del fisco attraverso la rateizzazione dell’importo.

5. Prescrizione del reato

Il reato di omessa dichiarazione si estingue per prescrizione in 8 anni che decorrono dalla data di “consumazione” del reato, quindi dal suo perfezionamento.

In caso di atti interruttivi della prescrizione il reato di omessa dichiarazione si estingue decorsi 10 anni.

È importante evidenziare che nei reati tributari la prescrizione è interrotta anche dal verbale di constatazione delle violazioni redatto dalla polizia giudiziaria e dall’atto di accertamento delle violazioni inviato dal fisco (art. 17 D.lgs. 74 2000)

Per quanto riguarda la data di consumazione del reato, essa coincide con lo scadere dei 90 giorni ulteriori concessi al contribuente per inviare la dichiarazione, se questi non l’ha presentata nel termine ordinario.

A tale proposito la Corte di Cassazione ha chiarito nella sentenza n. 8340 del 2 marzo 2020 che i 90 giorni sono un ulteriore termine concesso dalla legge al contribuente per adempiere e non equivalgono a una causa di non punibilità (di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente).

Alla luce di ciò e nel ribadire che il reato di omessa dichiarazione si consuma alla scadenza degli ulteriori 90 giorni come anzidetto, la suprema Corte ha chiarito che la prova in giudizio del mancato invio della dichiarazione nel termine indicato spetta al Pubblico Ministero e non al contribuente.

6. Reato di omessa dichiarazione dei redditi e possibile deduzione dei costi non contabilizzati

In merito al reato di omessa dichiarazione è da segnalare la recente sentenza della Cassazione n. 10382 del 2021.

La fattispecie analizzata dalla suprema Corte riguarda il caso di un amministratore di società, che non aveva presentato la dichiarazione dei redditi e la dichiarazione IVA al fine di evadere le imposte. Nell’ambito della verifica fiscale e anche in sede di giudizio penale era emerso, però, che non erano stati registrati in contabilità dei costi sostenuti dalla società.

La Corte di Cassazione ha escluso la rilevanza penale dell’omessa dichiarazione dei redditi in considerazione del fatto che, qualora fossero stati dedotti tali costi non registrati, l’ammontare dell’imposta evasa sarebbe stata inferiore alla soglia di euro 50.000 che configura il reato. Pertanto, era stata esclusa la responsabilità penale per l’amministratore con riferimento all’omessa dichiarazione dei redditi. Atteso che il principio della deducibilità dei costi sostenuti e non riportati in contabilità non rileva, però, ai fini IVA, veniva confermata la responsabilità penale dell’amministratore per l’omessa dichiarazione IVA, dato che la soglia di punibilità risultava in questo caso superata.

7. Omessa dichiarazione dei redditi: i termini di accertamento

Nelle ipotesi di omessa dichiarazione dei redditi, l’Agenzia delle Entrate può emettere un accertamento fiscale entro il settimo anno successivo rispetto a quello in cui si sarebbe dovuta presentare la dichiarazione dei redditi omessa.

Il presente articolo ha uno scopo puramente informativo e non sostituisce una consulenza fiscale di un avvocato tributarista.

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